Questa è la storia di Alessandra, piccola e dolce Alessandra, sempre allegra, educatissima, figlia unica di una famiglia benestante; mamma casalinga, amorevole, sempre presente, alta, snella e bellissima, si prendeva molta cura di sé stessa e di tutta la famiglia.
Papà ingegnere, molto intelligente e colto, anche lui si prendeva cura di sé, andava in palestra, mangiava sano, facevano insieme molti sport. Non era bellissimo come la mamma ma era decisamente affascinante: alto con un fisico atletico e possente che le dava quella sensazione di sicurezza, Alessandra voleva molto bene a entrambi i genitori ma del suo papà era proprio innamorata, avevano un rapporto speciale.
Alessandra era una ragazzina felice, aveva molti amici, una famiglia che l’amava e la sosteneva ed era felice. Spesso diceva che da grande le sarebbe piaciuto avere una famiglia perfetta come la sua, con un marito amorevole con lei e che fosse anche un padre eccezionale con i suoi figli- Un giorno però il suo mondo perfetto e i suoi sogni di un futuro radioso andarono letteralmente in frantumi.
Un giorno di lacrime e disperazione
Successe tutto in un giorno qualunque, tornò a casa da scuola e trovò sua madre in lacrime e la casa a soqquadro; pensò ai ladri, chiese alla madre se stava bene e se il papà lo sapesse. La donna la fece sedere, si asciugò le lacrime e con la voce rotta le disse che suo padre se ne era andato di casa, aveva un’altra donna, incinta e ha deciso di lasciarle.
Non le credette, si mise a correre da una stanza all’altra della casa aprendo armadi e cassetti in cerca di una traccia della presenza di suo padre che potesse confutare quella dichiarazione assurda, ma non trovò nulla, nessun effetto personale, niente, com’era possibile? come si fa ad andarsene da un giorno all’altro cosi?
Lo chiamò al telefono ma non rispose, lo chiamò e lo richiamò ma senza successo. Riuscì a parlarci solo 10 giorni dopo, a seguito delle imploranti richieste della madre preoccupata dal fatto che Alex aveva smesso di mangiare da quando era andato via. Aveva mille domande e giustamente pretendeva risposte.
Finalmente una telefonata
Riuscì ad ottenere una telefonata di 10 minuti in cui lui le disse che era dispiaciuto ma si era innamorato di un’altra donna e che aspettavano un bambino, un maschietto e tutti sapevano quanto lui avesse sempre desiderato un figlio maschio. Sono cose che succedono, che non si programmano, disse, e che il suo tempo con loro era semplicemente finito. “Nulla è per sempre Alex”.
Alessandra aveva undici anni, era al temine del suo primo anno di scuola secondaria e all’inizio di un incubo senza fine. Le sue nuove compagne di vita si chiamavano ANORESSIA e DEPRESSIONE, una combinazione letale, ma nonostante fosse costantemente in loro compagnia, Alessandra appariva sempre solare e ironica: andava comunque a scuola e frequentava ancora la squadra di pallavolo benché le presenze in entrambi i luoghi fossero sempre meno frequenti a causa della sua debolezza fino ad arrivare ai ricoveri in cliniche specializzate per i disordini alimentari.
Alessandra, di nuovo in clinica
Durante il suo secondo soggiorno in una di queste cliniche, la psichiatra che l’aveva in cura, si prese la responsabilità di contattare il padre di Alex personalmente, e dopo svariati tentativi di fissare un colloquio, di spiegare al telefono la situazione grave della figlia, con risultati nulli, riuscì a convincerlo ad andare a farle visita almeno il giorno del suo dodicesimo compleanno.
Quella visita durò meno di trenta minuti, un episodio che mandò l’intero staff medico sotto shock: come poteva essere cosi freddo e indifferente davanti allo scheletro della figlia, alla quale continuava solo a ripetere che doveva smetterla di farsi del male?
Non solo non sarebbe servito a farlo tornare a casa perché lui aveva una nuova famiglia, ma gli stava facendo spendere dei soldi inutilmente e stava facendo soffrire sua madre, una visita terribile a detta di quest’ultima e di alcuni medici che erano li vicino alla porta, ma per Alessandra fu il regalo più grande e più bello del mondo, perché era riuscita a farsi promettere dal padre che si sarebbero visti una volta al mese e che si sarebbero sentiti una volta ogni quindici giorni. Aveva capito che lui aveva un’atra famiglia, ma quello che non capiva era perché aveva smesso di essere suo padre. Voleva solo sentirlo e vederlo, perché non era possibile? non è stato facile estorcergli quella promessa ma ce l’aveva fatta, ed era entusiasta.
Il ritorno a una normalità apparente
I giorni successivi furono di ripresa, sia fisica che mentale, rideva, scherzava, mangiava e studiava, non vedeva l’ora di andare a casa, di riprendere la sua vita. Fu dimessa due settimane più tardi ed eccitatissima tornò a scuola. Andò anche a trovare la sua squadra di pallavolo che ormai non frequentava più a causa della sua debolezza fisica, disse a tutti di essere felicissima, raccontando alle amiche la sua piccola vittoria.
Quel sabato era stata invitata ad una festa in maschera perché era carnevale, ma lei, nonostante fosse una ricorrenza che amava, rifiutò, aveva un appuntamento telefonico con il suo papà, finalmente.
Attese tutto il pomeriggio e tutta la sera, non mangiò nulla a cena e si addormentò tra le lacrime con il cellulare in mano: perché non l’ha chiamata? Perché non rispondeva al telefono? Glielo aveva promesso! Ripiombò nell’oblio e tre mesi più tardi era di nuovo in clinica.
Alessandra aveva ereditato la bellezza e la sensibilità della madre, lo sapeva, pensava che quello che aveva ereditato dal padre fosse la passione per lo sport e lo studio, ma non era l’unica cosa in cui gli somigliava. Era, come lui, molto brava a fingere; a mentire sul suo stato di salute, sorridere a tutti, sminuire la situazione, sembrava che la sua depressione fosse sotto controllo, tra terapia e farmaci e sembrava aver compreso che, per quanto orribile fosse ammetterlo, suo padre era una persona ignobile, aveva la famiglia felice come facciata, ma la sua vita ha sempre nascosto segreti oscuri.
Una serie di menzogne
Alex mentiva costantemente, mentiva a tavola, fingendo di mangiare, mentiva alle amiche e ai parenti fingendo di essere allegra. Era credibile e appena tutti si tranquillizzavano, perché convinti che stesse finalmente riprendendosi, lei finiva in clinica dove rimaneva per mesi e dove fu costretta anche a sostenere gli esami di terza media.
La storia è stata sempre la stessa per anni, la madre, i medici, le amiche e persino alcuni genitori di quest’ultime chiamavo il padre di Alessandra nel vano tentativo di convincerlo ad avere un rapporto con la figlia, nemmeno le minacce di andare incontro a morte certa per malnutrizioni lo smuovevano.
Capitava ogni tanto che per calmare le acque le telefonava oppure le faceva visita e anche li era lo scenario di un film già visto, andava a trovare le figlia solo per cercare di manipolarla, di convincerla che quello che ha fatto è normale, che non doveva dar retta a cosa dicevano gli altri, volevano solo dipingerlo come un mostro, cosa che lui non era, “era solo finito il nostro tempo insieme” , “ho un’altra famiglia Alex non possiamo più essere come prima”, “sei come tua madre vuoi solo attirare l’attenzione” “ se morirai di fame è solo una tua scelta, attribuire la colpa a me di questo è meschino e da vigliacchi”.
Una mattina di giugno
Una mattina di giugno Alessandra fu svegliata dall’odore del caffè e dai fievoli raggi di sole che filtravano dalla finestra della sua camera, sentì armeggiare la madre in cucina, si alzò e si sedette al tavolo da pranzo chiedendo un caffè e un pezzo della torta appena sfornata.
Ne assaggiò un pezzetto, poi si alzò, disse alla madre che la torta era buonissima, le diede un bacio e andò in camera sua, il tempo di versare il caffè nella tazzina della figlia e senti un tonfo provenire dall’esterno, e poi un urlo di terrore, si affacciò dalla finestra e vide un gruppo di persone agitate urlare intorno a qualcosa che sembrava un animale, forse un cane. Li dal settimo piano dove abitavano non erano nitide le immagini, la gente guardava in alto ed ebbe la sensazione che stessero fissando proprio lei
Un tuffo al cuore, la gola le si strinse impedendole di respirare, corse in camera di Alessandra spalancò la porta e trovò una sedia sotto la finestra e le sue ciabatte allineate a terra, rimase li impalata per un tempo indefinito incapace di affacciarsi da quella finestra.
Nessun biglietto
Nessun avviso, nessun biglietto d’addio, nessun segnale che potesse far prevedere quel gesto, nessuna spiegazione apparente, non aveva lasciato niente oltre a mille domande senza risposta.
Esattamente come suo padre le aveva insegnato, il suo tempo li era finito ed aveva semplicemente deciso di andarsene.
La Manipolazione Emotiva e psicologica è una cosa che ci ostiniamo a non collocare nello scompartimento della violenza, finché non diventa fisica;
la depressione è una malattia invisibile che non essendo palpabile crediamo non esista;
Le relazioni tossiche tendiamo ad attribuire solo fra i partner amorosi, distogliendo l’attenzione quando invece è presente in famiglia.
Tutto questo è VIOLENZA, e deve farci riflettere molto sul fatto che essa ESISTE ed è PARTE DELL’ESSERE UMANO. Finché ci ostiniamo a non ammettere questo assioma non potremo mai essere pronti a combatterla.
Cara Alessandra
Cara Alessandra, ovviamente questo non è il tuo nome, la tua storia la racconto perché spero possa essere d’aiuto a tutti coloro che la leggeranno, spero che aiutino ragazzine come te a non farsi manipolare da nessuno, a parlare e non nascondere le proprie emozioni, ad amarsi, a non annullarsi per nessuno al mondo nemmeno per il proprio genitore.
E ti chiedo scusa Alex, scusa perché all’epoca ero molto più giovane e inesperta, mi sono fatta ingannare dal tuo sorriso, dalla tua solarità e non mi sono accorta di quanto profondo fosse l’oblio in cui stavi precipitando lentamente, giorno dopo giorno, non ho letto adeguatamente i tuoi segnali inconsci.
Devo anche ringraziarti però, la tua storia è stata una delle tante che mi ha fatto elaborare e perfezionare il programma di Difesa Personale Educativa, volevo un programma che andasse oltre la tecnica, qualcosa che non terminasse con il corso, che potesse dare aiuto concreto nelle diverse situazioni in cui un essere umano di qualunque età possa ritrovarsi.