Michele Arancio è un musicista di Melzo, classe 1985. Calca la scena underground da quando aveva 17 anni con la sua band punk-rock. Poi nel 2019 una svolta cantautorale e la nascita di Mike Orange, un progetto “elastico” che è stato band, poi solista e che è capace di aggregare altri musicisti.
Il filo rosso della sua storia musicale è l’approccio indipendente e l’importanza delle relazioni. Ha una sola regola: fare quello che gli piace, con persone che stima e che condividono il suo modo di vedere e sentire la musica.
Le prossime date per andare a sentire la musica di Mike Orange: 4 luglio a Tortona al Fermento e 19 luglio al Monza Sound Festival
Michele è il secondo artista intervistato nella serie di approfondimenti sullo scenario musicale italiano visto – o meglio, ascoltato – da chi la musica la fa e con la musica ci lavora: artisti, musicisti, dj e produttori della scena locale e nazionale. Leggi le altre interviste nella sezione Arte, cultura, spettacoli di HEO Post.
Nella lunga intervista abbiamo parlato dei progetti di Michele Arancio, del Festival di Sanremo e di come si fa e si ascolta la musica oggi.
Il progetto Mike Orange
Chi è Mike Orange?
Un progetto che è nato cinque anni fa, a cavallo tra 2018 e 2019. Ero un po’ bloccato e in cerca di uno stimolo nuovo, c’era questa novità degli artisti alternativi che si cimentavano nel pop e mi sono detto “perchè no?”. Ed è stato come levare il tappo, ho iniziato a scrivere tantissimo. Ero partito con un progetto solista, poi nel tempo ho iniziato a far sentire agli amici quello che stavo facendo e molti di loro hanno iniziato a chiedermi spontaneamente di collaborare. Così in poco tempo abbiamo messo su una band di cinque elementi con persone con cui suonavo da moltissimo e altre con cui avevo sempre voluto suonare, ma non ne avevo mai avuto l’occasione.
Qual è stato il vostro primo lavoro?
Nel 2020 abbiamo registrato “Arancio”, un EP uscito poi nel 2021. La parte strumentale siamo riusciti a registrarla in studio tutti assieme a febbraio, prima del lockdown, mentre per registrare le voci siamo stati fermi tre mesi a causa del Covid. È stato difficilissimo, perché solitamente quando registri un disco c’è un flusso, interromperlo è complicato, ma siamo comunque riusciti a terminare il disco.
E poi come si è evoluta la produzione di Mike Orange?
Dopo quell’EP io volevo fare qualcosa di ancora diverso. Sono andato da un amico che non vedevo da tempo, Luca Alfiero, proprietario del Loop Recording Studio a Latina. Lì è nato il nuovo disco, “Sensibile”, uscito nel 2023 e che è invece un lavoro da solista. L’ho registrato quasi integralmente da solo, tranne batteria e basso.
Come mai a Latina?
È tutto partito dalla conoscenza con Luca Alfiero, ma poi nel tempo Latina è diventata una tappa fissa dei miei tour, si è creato un bel clima tra musicisti, persone che conosco. Si è creata per me un po’ una seconda casa.
Mi racconta di più di Sensibile?
Non è un concept album, è più una raccolta di canzoni. Il nesso tra i pezzi l’ho visto dopo, quando mi sono trovato a rileggere i testi e mi sono accorto che stavo parlando di tutte le mie fragilità. La sensibilità è qualcosa di molto importante perché ci fa empatizzare con gli altri. E ci permette di capire che possiamo agire per cambiare in meglio alcune dinamiche, ad esempio quelle di genere.
In che senso?
Oltre a suonare, ad esempio, faccio l’educatore che è un mestiere ritenuto “da donna” e lo faccio in un contesto femminile. Io stesso non mi sento particolarmente vicino allo stereotipo dell’uomo estremamente maschile, come comunemente inteso nella società. Forse anche per questo le dinamiche di genere mi hanno sempre interessato molto e mi sono ritrovato a riflettere su come si fa ad agire per cambiarle. Il pensiero è che è necessario che il cambiamento parta da me, che sono uomo e che devo rendermi responsabile di un processo. È necessario essere consapevoli e sensibili.
Il coniglio sulla copertina è un simbolo?
Ci ho messo Ugo, il mio coniglio! È un animale emblema della sensibilità: i conigli sono delicati, vanno curati e coccolati, hanno bisogno di tantissime attenzioni.
Il futuro musicale di Michele Arancio
Prossimi progetti?
A luglio ho l’opportunità di riunire un po’ di amici con cui voglio suonare, stiamo insieme una settimana, componiamo e registriamo. L’idea è fare un altro disco, alcuni pezzi sono già pronti, vanno registrati. Ancora non so esattamente chi ci sarà, ma di certo coinvolgerò Gabriele Graziani, altro grande amico di Latina.
Su che sonorità sta lavorando?
Oggi mi allontano sempre di più dal rock, ma la mia radice è punk-rock, l’ho suonato per 20 anni. E anche nei lavori di oggi mi porto dietro quei valori. Il “do it yourself” per me è la guida, possono avvicinarsi anche grandi case discografiche ma se una cosa la fai tu, la produci tu, magari coinvolgendo persone che sono brave più di te, le cose escono altrettanto belle e soprattutto molto personali e autentiche. Ho quasi quarant’anni, il sogno di fare il musicista per vivere dopo un po’ lo abbandoni. Non abbandoni la musica, continuerò per sempre a suonare. Allora è ancora più importante fare quello che mi piace.
Ascoltando i primi pezzi di Mike Orange qualcosa può ricordare le sonorità e la scrittura dei Tre Allegri Ragazzi Morti. È così?
Probabilmente sì. Sono un grande fan e non solo. Mi sono formato musicalmente con loro e ne condivido la visione della musica. Sono stati quasi degli eroi, hanno rifiutato delle major per La Testa Indipendente. Se c’è qualcosa di indipendente in Italia oggi lo dobbiamo gran parte a loro.
Il Festival di Sanremo e la musica in Italia
Guarda il Festival di Sanremo?
Se ci sono degli artisti che mi interessano, sì. L’anno scorso ad esempio c’erano i Coma_Cose e Colapesce e Dimartino. Ho guardato l’edizione con Bugo di cui sono grande fan. E ho guardato i Pinguini Tattici Nucleari perché è normale essere curiosi di vedere persone che hai sempre conosciuto, e che hai avuto di fianco calcare un palco del genere. Mi attira la parte alternativa di Sanremo per capire come si pongono gli artisti che arrivano a fare quella cosa, che è il Festival del mainstream e del kitsch.
Se Sanremo è il trionfo dei mainstream perché allora ci vanno gli artisti alternativi?
La musica è cambiata. Prima c’era mercato per fare l’artista alternativo a tutto tondo che si formava suonando in giro e poi diventa qualcuno. Oggi esiste lo streaming e non c’è più una divisione tra cosa è indie e cosa è mainstream e non mi stupisce che qualunque cosa possa arrivare sul palco di Sanremo. E poi alcuni artisti sono obbligati dalle case discografiche, che testano i pezzi e vogliono risultati.
Rileggevo le dichiarazioni del produttore di Fabrizio De Andrè che spiegava come con i suoi dischi fino ad Anime Salve non fossero mai andati in positivo. Sono tempi diversi, il risultato deve arrivare subito, la musica oggi è diventata un contenuto da condividere, magari con un TikTok. L’urgenza non è più comunicare qualcosa, ma è l’urgenza del successo. La realtà musicale oggi è questa e Sanremo ne è lo specchio.
Come è cambiato l’approccio alla musica da parte di chi ascolta?
Quando è arrivato internet ero nel pieno della fase della scoperta musicale, era una figata poter cercare e avere a disposizione tantissimo materiale, discografie intere. Mi sentivo un esploratore.
Lo streaming ha cambiato le cose, non c’è più bisogno di cercare e scaricare perché è sempre tutto a disposizione. Finisce la voglia di cercare, finisce la libertà proprio dove poteva diventare maggiore.
Tornando al Festival di Sanremo, pensa sia rappresentativo della scena musicale?
Sanremo è rappresentativo della classifica, ma non della scena musicale. Ma questo anche perché è un po’ impossibile. Non ci sono solo artisti famosi, ci sono anche quelli come me che hanno una carriera differente, se vuoi un po’ nell’ombra, ma comunque producono, fanno tour e concerti. È proprio un campionato diverso, che comunque giochiamo in tantissimi.
E se Sanremo avesse la direzione artistica di una donna?
Dipende. Amadeus ha avuto tempo e spazio per poter decidere tutto. Una direttrice artistica può avere un impatto se ha tempo di lavorare e le competenze, come chiunque.
Anche Mike Orange ha partecipato a un Festival canoro, quello di San Nolo che i milanesi conoscono molto bene. Come è stato?
È stata la prima uscita come Mike Orange. È stata un’esperienza un po’ traumatica perché ero un po’ a disagio. Fino a quel momento era stato un festival più piccolo, invece quando ho partecipato era una cosa più grande e strutturata e io non ero abituato alla trafila da festival, all’importanza dell’aspetto estetico e della performance. Ma ho imparato tanto, se tornassi a San Nolo oggi tornerei da vincitore!