La Haine
Arte, cultura e spettacoli

Trent’anni di odio, La Haine torna al cinema

Compie trent’anni La Haine, film iconico del regista Mathieu Kassovitz, che per l’occasione torna nelle sale

Scritto da

Federico Testa

Pubblicato il

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In occasione del 30º anniversario, La Haine, film di Mathieu Kassovitz torna nelle sale italiane. Questo iconico lungometraggio del 1995 offre un ritratto crudo della vita nelle periferie parigine, affrontando temi di violenza e disuguaglianza ancora attuali. Un’occasione per riscoprire la storia di Vinz, Saïd e Hubert sul grande schermo.

“Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Lungo il tragitto, per farsi coraggio, l’uomo non fa che ripetersi “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. L’importante non è la caduta, ma l’atterraggio. 

L’inizio dell’odio

Inizia così La Haine, L’odio, film che ci porta per ventiquattr’ore nella vita di Vinz, Hubert e Said, tre amici della banlieue parigina, all’indomani degli scontri avvenuti con la forze dell’ordine. L’incidente scatenante, la scena che fa partire la storia, è il brutale pestaggio di Abdel, immigrato di seconda generazione e amico dei tre ragazzi, in fin di vita a causa dei soprusi violenti della polizia. I tre, carichi di rabbia e con una pistola tra le mani, meditano su come avere giustizia. 

Ma facciamo un passio in dietro: prima che la storia venga raccontata siamo introdotti al mondo narrativo del regista dai titoli di testa. Kassovitz sceglie di utilizzare immagini prese da scontri reali accompagnati dalla note di “Burning and looting”, canzone del gruppo reggae The Wailers cantata da Bob Marley.

Questa scelta da al film una base di realismo, che implica una denuncia sociale ritraendo gli scenari delle banlieu parigine e dei frequenti scontri con le forze dell’ordine che, dal 1981 ad oggi, hanno portato a più di 300 morti.  Uno tra questi fu M’Bowole, immigrato di seconda generazione, proprio come Abdel, assassinato nel 1993 che diede a Kassovitz lo spunto per scrivere il film. 

Una volta analizzati i titoli di testa si guarda il film con uno sguardo diverso, più consapevole, empatizzando con i protagonisti della storia. Attraverso scene diventate memorabili e iconiche, L’odio è diventato il punto di riferimento dell’immaginario metropolitano fin dalla sua uscita. Un Instant classic per tematiche e stile, grazie anche all’ampia visibilità raggiunta. Il film infatti trionfa nella categoria miglior regista a Cannes ’95, aggiudicandosi un importante vetrina sul panorama mondiale.

Le polemiche

Tuttavia, come spesso accade, i riflettori puntati attirano anche critiche e accuse. Soprattutto se il film in questione si fa portavoce di un movimento di protesta così ampio. Prendono il via le proteste che ritengono il film responsabile di amplificare l’odio verso le autorità nei quartieri. Nel momento della premiazione di Kassovitz infatti la polizia presente alla cerimonia volta le spalle in segno di dissenso.

France soir, importante quotidiano francese, gli dedica la prima pagina titolando “Noisy La Haine”, accostandolo alle rivolte che in quel periodo animano i quartieri parigini. Non tarda poi la dichiarazione del leader di estrema destra Jean-Marie Le Pen che cita il film accusandolo di dare risonanza e amplificare le proteste.

La controparte ribatte sostenendo l’oggettività del film che si limita a descrivere una fetta di realtà, senza incitare odio ma limitandosi a metterlo in scena, portando il problema ad un pubblico più ampio con la speranza di trovare una soluzione. 

La musica e le immagini cult

L’odio tuttavia non è l’unico elemento portante del film. C’è una scena, diventata cult nell’ambiente hip hop, che descrive in maniera metaforica il dualismo rappresentato. Questa scena vede un dj nella sua stanza che suona affacciato alle banlieue. La musica, come succede nei titoli di testa, si fa portatrice di un messaggio. Il dj infatti mixa due canzoni con contenuti molto diversi. La prima, “L’assassina de la police” è una canzone aggressiva e ribelle che esprime rabbia e sfida verso le autorità. Mentre la seconda, “Je ne regrette rien” è una ballata nostalgica e risoluta che parla di accettazione e assenza di rimpianti.

Il mixaggio delle due tracce riflette il contrasto e la tensione tra la violenza e la rabbia dei giovani protagonisti del film e la ricerca di pace interiore e riconciliazione. Questa vicinanza alla cultura hip hop, genere attualmente mainstream, ha permesso al film di rimanere nel tempo. Perchè se è vero, come afferma lo stesso regista, che “Tutti i ghetti del mondo si assomigliano”, La Haine diventa un punto di riferimento per chi vuole raccontare la realtà di strada evidenziandone le ingiustizie e gli squilibri sociali, tematiche che, purtroppo, sono ancora molto attuali. 

Come viene rivelato nel finale infatti L’odio non parla di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani, ma di una società che sta precipitando, e mentre cade si ripete per farsi coraggio “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.