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Serenis e la campagna “OOH”: l’importanza di fermarsi ad ascoltare le emozioni

Nelle stazioni di Milano e nei canali TV, il messaggio di Serenis per sensibilizzare le persone e riflettere sull’importanza di dare la giusta voce alle emozioni

Scritto da

Samuele Vinci

Pubblicato il

25 Marzo 2025

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Viviamo in un mondo dove molto spesso la frenesia della quotidianità tra le mille faccende da sbrigare prende il sopravvento sulla reale essenza della vita, fatta di emozioni, gioia, contatto fisico e mentale, sentirsi coinvolti. Questa situazione prende pista soprattutto all’interno di città grandi, come a Milano, dove chi lavora o chi studia – di fatto – è sempre perennemente di corsa, per non perdere coincidenze dei mezzi, o più semplicemente, per non perdere tempo.

È esattamente in questo contesto caratterizzato dalla frenesia quotidiana che Serenis, centro medico online per il benessere mentale e fisico, ha lanciato “Dibidabi. Duda Bodi?”, la sua campagna OOH realizzata con il supporto di IGPDecaux, arrivata prima a Milano (sui monitor della stazione di Cadorna) e successivamente anche sulle nostre televisioni.

Il senso era ed è tutt’ora molto chiaro: cercare di sensibilizzare tutte le persone che sono passate dalla stazione del capoluogo lombardo per prendersi un momento e riflettere sull’importanza di dare la giusta voce alle emozioni grazie anche all’aiuto del terapeuta giusto, in grado di parlare la nostra stessa lingua, per facilitare la comprensione di sé e degli altri. Ascoltare non per sentire, ma per capire davvero e provare a tendere la mano verso chi ha bisogno e magari non lo riesce a esprimere.

L’intervista a Marilena Tettamanzi

Per analizzare nel dettaglio e dare forte rilevanza a questo tema, abbiamo intervistato la Psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale, didatta presso il Centro Milanese di terapia della Famiglia Marilena Tettamanzi, che ci ha fornito un punto di vista più ampio.

Perché è importante dare voce alle proprie emozioni e quali sono gli effetti nel non esprimerle?

“Noi nel 2025 parliamo sempre più spesso di emozioni. Va ricordato che da un punto di vista culturale la valorizzazione delle emozioni e della loro espressione è un fatto molto recente; per i nostri nonni, e a volte ancora oggi per molte persone in generale, l’espressione delle emozioni rappresenta un tabù e tende ad essere vista come una debolezza, da evitare, da contenere e sicuramente da non mostrare. Questo retaggio lo ritroviamo in modo molto chiaro in alcune espressioni linguistiche di uso comune: non arrabbiarti, non piangere, non essere triste, non vergognarti… Ma dagli anni ’90 hanno invece iniziato a diffondersi teorizzazioni più complesse, che integrano la dimensione emotiva nel processo mentale, inteso come un processo ad ampio spettro che si articola nell’interazione tra contesto e individuo: l’emozione è una comunicazione in ingresso dall’esterno verso l’interno, e viceversa.

Il primo passo deve essere autorizzarsi a sentire le emozioni. però importante ricordare che l’espressione emotiva (anche se sappiamo che fa bene) non può essere forzata, ma piuttosto può essere promossa, sostenuta nel rispetto di ciò che il mio interlocutore sente di poter fare, il che significa mettersi in una posizione di ascolto”.

Che consigli daresti a chi sta cercando un terapeuta, specialmente per affrontare questo tema: come capire se si è sulla strada giusta?

“Siamo in un’epoca dove le piattaforme propongono e rendono accessibile la psicoterapia e stanno aumentando la domanda. Ma in tutti i momenti di cambiamento serve comunque attenzione, e noi qui dobbiamo ricordarci che la psicoterapia è un lavoro di cura e non di business: è un percorso, un processo di riflessione.

Come scegliere un terapeuta è un tema complesso che penso non abbia una risposta lineare, se non ‘dipende’. Trattandosi di un incontro è necessario che il cliente riconosca nel terapeuta delle opportunità per sé. Io a volte mi chiedo: ‘Perché questa persona è arrivata da me, ha scelto me tra i sempre più numerosi terapeuti disponibili?’. Spesso si tratta di un fatto casuale, altre volte ci si affida alle indicazioni date da altri di cui ci si fida, altre volte ancora ci si rivolge ad un terapeuta perché fa parte di un sistema più grande che suscita nel cliente credibilità.

L’avviare un percorso di psicoterapia richiede una scelta reciproca. Il clinico sceglie, si autorizza ad avere uno spazio di lavoro e incontro con il cliente e il cliente deve darsi lo spazio per capire se quel terapeuta rappresenta per lui una opportunità di un confronto che porti verso un cambiamento che spesso fa paura e nel quale è importante sentire di potersi affidare all’altro.

Oggi possiamo documentarci sul professionista a cui ci rivolgiamo e abbiamo l’opportunità di verificarne i titoli, la competenza, ma poi la relazione terapeutica si svolge nella stanza di terapia e si basa sulla possibilità di un incontro”.