Il Professor Giuseppe Vivone, storico dell’Istituto Pedagogico e didattico della Resistenza, è intervenuto lo scorso 11 febbraio presso la Casa del Popolo nella serata “Le foibe e le complesse vicende del confine orientale”, dedicata al giorno del ricordo dei martiri delle foibe.
Giorno del ricordo per i martiri delle foibe
“Il 10 febbraio, giorno del ricordo dei martiri delle foibe, si dimostra fonte inesauribile di polemiche e timori. Questo è un fatto positivo poiché significa che lo studio di questo evento storico balza all’interno della vita quotidiana e scaturisce da un’esigenza del presente”. -Continua Vivone- “Ora bisogna comprendere come mai questa data crei così tante tensioni e un trasporto emozionale atipico per una nazione come l’Italia”.
Per rispondere a questa domanda Vivone analizza il giorno 10 febbraio “Questa data non è collegata ad un preciso massacro da parte dei Titini o a un’occupazione militare da parte di forze comuniste, bensì fa riferimento ai trattati di pace di Parigi del 1947 che portarono l’Italia a perdere l’Istria, l’entroterra triestino e goriziano. La perdita di questi territori era legata al fatto che l’Italia avesse perso la guerra e non per motivi legati a fattori etnici”.
Inizia tutto nel 1920:
“Ho scelto di far iniziare questa storia alla fine della prima Guerra Mondiale” -dice Vivone- “Quando alcuni territori sotto il governo austriaco passarono all’Italia: le cittadine della costa istriana, Trieste e Gorizia. Qui i cittadini avevano sempre visto e conosciuto il trilinguismo, che verrà meno con l’istituzione della regione Venezia-Giulia. Le minoranze slave abbandonarono questi territori poiché capirono che l’Italia, diversamente dall’Austria, aveva intenzione di nazionalizzare la regione. Dal 1920 al 1939 70.000 slavi lasceranno la Venezia-Giulia, questi timori non furono infondati poiché il primissimo fascismo si sviluppo proprio in queste zone di confine. Un fascismo fatto di azioni rapidissime e di uccisioni di leader politici”.
Vivone entra poi nel vivo di quanto accaduto negli anni della seconda Guerra Mondiale “I territori al confine tra Italia e Jugoslavia divennero degli abnormi campi di prigionia dove avvennero orrende stragi. Tra il marzo e il maggio del 1942 il generale Robotti diede inizio al “Piano Primavera”, ossia un enorme rastrellamento di civili e partigiani sloveni. Nel luglio dello stesso anno furono poi catturati studenti universitari, intellettuali e civili, alla fine di questi mesi il bilancio dei morti per fucilazione sarà molto alto”.
“Ciò che avvenne dopo l’armistizio dell’8 settembre è da tutti conosciuto. Gli slavi guidati da Tito entrarono nelle regioni della Venezia-Giulia e dopo la disfatta tedesca del 1945 non uccisero solo i fascisti ancora presenti in quelle regioni, ma anche tanti civili e partigiani comunisti, riconoscibili dalla stella rossa, che avevano scelto di non abbandonare quelle terre”.
In conclusione:
“In questa storia hanno tutti grandi responsabilità. I democristiani per aver preferito ragioni geopolitiche a quelle storiche, dopo la rottura tra la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. I fascisti per aver gonfiato il numero di morti infoibati tanto da rendere il dubbio su quanto realmente successo. I comunisti, per aver trascurato questa storia fino agli 70’, ritenuta lesiva per il movimento comunista e per il movimento di resistenza. Infine le responsabilità le abbiamo tutti noi, cioè lo Stato Italiano”.
“Per trattare questo argomento in maniera storica occorre liberarsi di tutto questo e, come disse Don Benedetto Croce: “Quando dobbiamo fare storia sgombereremo miti e idoli, amici ed amanti, simpatie e antipatie, poiché l’unico sentimento capace di riempirci tutta l’anima è quello della verità, della verità storica”