Allargare lo sguardo alla condizione delle donne in altri paesi, come l’Afghanistan, non significa distogliere l’attenzione dai problemi che ancora esistono in Italia e in Europa, né fare un’operazione di benaltrismo.
Al contrario, osservare ciò che accade oltre i nostri confini accresce la consapevolezza dell’importanza di libertà fondamentali, unisce nella lotta per ottenerle e mette in guardia da un pericolo concreto: i diritti conquistati con fatica non sono mai garantiti per sempre.
Anche in Italia e in Europa, la parità di genere sta subendo battute d’arresto e, in alcuni casi, veri e propri passi indietro. Per questo, difendere i diritti delle donne significa non solo continuare a lottare per nuove conquiste, ma anche vigilare affinché ciò che è stato ottenuto non venga cancellato con un colpo di spugna.
A ridosso della giornata internazionale della donna, due testimonianze che arrivano dall’Afghanistan si sono fatte portatrici di questa riflessione: quella della calciatrice Khalida Popal, fondatrice della nazionale femminile di calcio afghana, intervenuta durante la Giornata dei Giusti a Milano; e quella della giornalista di guerra Barbara Schiavulli, che nella Biblioteca di Brugherio ha raccontato le storie della “sua” Kabul.
L’incontro con Barbara Schiavulli – Radio Begum, la voce spenta delle donne
Lunedì 10 aprile alle 21, presso la Biblioteca comunale di Brugherio, si è tenuta la conferenza “Radio Begum – la voce spenta delle donne”.
Ospite e relatrice Barbara Schiavulli, giornalista di guerra ed esperta di Afghanistan e medio oriente, che ha portato testimonianze di guerra e di diritti cancellati.
Ad introdurre la serata la responsabile dell’ufficio politiche culturali del Comune Letizia Spadaro e la vicesindaca Mariele Benzi, che ha sottolineato il momento di vivacità culturale che sta vivendo Brugherio, e l’importanza dei momenti dedicati nello specifico ai temi di genere.
Radio Begum riapre: una buona notizia?
“Vi do subito una buona notizia, che però sarà anche l’unica: Radio Begum ha riaperto”, esordisce così Schiavulli.
La radio (poi anche web TV) era stata un canale indispensabile di formazione ed educazione per le donne dall’agosto 2021. Dall’entrata dei talebani a Kabul a seguito del ritiro delle truppe statunitensi e NATO, l’azione del nuovo governo ha dato seguito ad oltre 80 direttive di limitazione delle donne, tra cui il divieto di andare a scuola e di lavorare. Un gruppo di donne ha così organizzato trasmissioni per impartire corsi di formazione nelle due lingue ufficiali del paese. Fino a che, a febbraio 2025, i talebani hanno fatto irruzione nella sede della Radio, arrestato due uomini che lavoravano come tecnici e forzatamente interrotto le trasmissioni.
Negli scorsi giorni, però, la Radio ha ricominciato a trasmettere.
A differenza della sua chiusura, che ha avuto spazio sulle principali testate anche italiane, la riapertura di Radio Begum non sembra aver avuto la stessa rilevanza per i mass media. Un po’ perché la ripartenza delle trasmissioni è sottoposta ad alcune condizioni, attualmente non conosciute e difficilmente verificabili. Un po’ perché i riflettori sull’Afghanistan sembrano essersi spenti.
Sono rimaste poche le voci e le penne che raccontano la realtà di un Paese tormentato da lunghissime guerre, poi da un regime fondamentalista. Una di queste è Barbara Schiavulli, che nell’Afghanistan ha trovato – dice – la sua “terra gemella”.
Questo legame ha contribuito a cambiare il focus del suo lavoro: dalle interviste a generali e ministri durante la guerra, sempre di più ha scelto di concentrarsi sulle vite delle persone comuni che, in un mondo deflagrato, hanno continuato a lottare per la propria dignità e umanità.
Tutto può svanire in una notte, anche i diritti fondamentali
Barbara Schiavulli è un fiume in piena. Dietro di lei scorrono fotografie e ad ognuna è legata una storia, che si intreccia con altre, in un racconto che balla nello spazio e nel tempo. Tutte le storie hanno in comune sofferenze atroci: quelle fisiche, delle torture e della guerra; quelle psicologiche ed emotive, della perdita di persone care e delle libertà fondamentali.
In comune, anche un senso di ingiustizia e tradimento. L’accordo tra gli Stati Uniti e il governo afghano avrebbe dovuto garantire al paese uno sviluppo pacifico, la presenza dei talebani sarebbe dovuta essere assorbita nelle istituzioni democratiche.
“Canterò in faccia ai talebani, mi disse una mia cara amica” – racconta Schiavulli. Si percepiva la sensazione frizzante di imminente libertà che fa venire voglia di intonare una melodia, gesto normale ma severamente proibito per i talebani. Le note sono rimaste strozzate in gola perché, nell’arco di appena ventiquattro ore, il regime talebano cha assunto pieno controllo del territorio e iniziato a promanare leggi che limitavano la libertà, soprattutto delle donne. A loro è fatto divieto di studiare, lavorare, uscire da sole, parlare con uomini.
Come per le trasmissioni di Radio Begum, i diritti sono stati messi a tacere in meno di un giorno.
“C’è chi parla di apartheid di genere, io lo chiamo genocidio di genere – ha proseguito Schiavulli – Ad esempio, le donne possono essere visitate solo da medici donne. Ma alle donne è fatto divieto di lavorare e di studiare, quindi non vi sono e non vi saranno domani medici che possono visitare donne”.
Raccontare per salvare
Raccontare significa salvare. Come è accaduto per Achela, sposa bambina ormai donna sopravvissuta alle violenze domestiche di un marito padrone che la tortura, picchia e abusa di lei. Anche grazie all’incontro con Schiavulli è entrata in un corridoio umanitario che ha portato al sicuro lei e le sue figlie in Italia, a Bari.
E così, è una speranza che la storia dell’anziano Yusuf, diciotto anni di torture in carcere, possa salvare tanti giovani afghani imprigionati e torturati, insegnando loro che si può superare l’orrore subìto e sconfiggere il mostro della sete di vendetta, restando uomini di pace.
Per questo Barbara Schiavulli, assieme alla sua redazione, continua il suo lavoro con Radio Bullets. L’obiettivo è riportare al centro del giornalismo valori fondamentali come indipendenza, competenza, passione e impegno, garantendo credibilità e fiducia ai lettori. Il progetto si propone anche di dare spazio a quelle notizie che spesso vengono escluse dai media tradizionali. In un Paese come l’Italia, dove le notizie di Esteri ricevono poca attenzione, conoscere ciò che accade nel mondo aiuta a comprendere meglio anche la nostra stessa realtà.
Khalida Popal e la nazionale di calcio afghana
Anche Khalida Popal, sul palco della Giornata dei Giusti a Milano, ha una missione che va oltre la propria testimonianza.
Nata in Afghanistan nel 1987, Khalida ha iniziato a giocare a calcio in un contesto in cui lo sport era precluso alle donne. I primi calci al pallone li ha dati di nascosto. La passione è cresciuta al punto da spingerla a sfidare la cultura patriarcale del Paese, fondando insieme ad altre calciatrici la nazionale di calcio afghana nel 2007.
Le conseguenze di questa scelta sono state drastiche: minacce di morte e necessità di fuggire in Danimarca nel 2011 per salvarsi la vita. Da lì, l’impegno per difendere i diritti delle donne nello sport è cresciuto ancora, con la fondazione di Girl Power, che aiuta donne rifugiate e migranti attraverso il calcio e che ha avuto un ruolo cruciale nell’evacuare oltre 300 atlete dopo il ritorno al potere dei talebani nel 2021.
“Ho guidato un movimento attraverso il calcio, in difesa dei diritti delle donne in Afghanistan. E insieme alle mie sorelle abbiamo avvicinato tante ragazze e donne al calcio. La nostra operazione è iniziata in segreto, giocando in luoghi nascosti fino a che non siamo diventate abbastanza per essere visibili e unite nella lotta per i nostri diritti.
Abbiamo usato il calcio per lottare contro la violenza domestica, la discriminazione di genere e i matrimoni precoci. Questo motimento ci ha portate a fondare la nazionale femminile di calcio afghana nel 2007, per rappresentare le donne afghane anche fuori dal nostro Paese”.
Il video dell’intervento di Khalida Popal alla Giornata dei Giusti a Milano.