Copa71
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Copa71, storia di un successo mondiale. Insabbiato.

Il docufilm prodotto da Serena e Venus Williams e Alex Morgan racconta una storia di emancipazione tenuta nascosta per oltre cinquant’anni: quella della prima Coppa del Mondo femminile, mai riconosciuta dalla FIFA.

Scritto da

Valentina Drago

Pubblicato il

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Il film documentario prodotto – tra gli altri – da Serena e Venus Williams e la stella del calcio statunitense Alex Morgan, Copa71, per la regia di Rachel Ramsay & James Erskine, racconta una storia di emancipazione tenuta nascosta per oltre cinquant’anni: quella della prima Coppa del Mondo femminile, mai riconosciuta dalla FIFA.

Abbiamo guardato Copa71 al Cinema Beltrade di Milano. In sala c’erano anche due calciatrici protagoniste del lungometraggio, la portiere Daniela Sogliano e la centravanti Maurizia Ciceri, che lo hanno visto assieme a noi per la prima volta.

Copa71: la storia

Nell’agosto del 1971 sei selezioni nazionali femminili di calcio – Inghilterra, Francia, Danimarca, Italia, Messico, Argentina – hanno disputato in Messico il primo campionato mondiale femminile di calcio non-ufficiale, sotto gli occhi di quasi 100.000 spettatori e delle telecamere delle televisioni nazionali, con un enorme successo anche in termini economici per gli organizzatori.

Eppure, questo fatto è ignoto persino a stelle del calcio moderno come la due volte campionessa del mondo e pioniera del calcio statunitense Brandi Chastan, che appare incredula in apertura del film.

L’evento era stato organizzato da un gruppo di imprenditori messicani, decisi a monetizzare al massimo l’investimento fatto per le strutture del campionato del mondo del ’70. Sin da subito, però, è stato osteggiato dalle federazioni e dalla FIFA che aveva vietato la competizione e contrastato persino la sua riproduzione televisiva e a mezzo stampa.

Il sogno e la solitudine

La pellicola è toccante nel narrare, attraverso le voci delle calciatrici di Copa71, i loro racconti di bambine con un luccichio negli occhi quando vedono un pallone da calciare. Sono storie di ribellione, perché spesso quelle ragazzine dovevano sfuggire al divieto dei genitori, talvolta imposto con violenza. E sono anche storie di solitudine e emarginazione, perché era difficile trovare altre coetanee con cui condividere questa passione e al contempo si veniva respinte dai bambini ai quali, invece, era consentito giocare a uno sport “da maschi”. Ma sono soprattutto storie di persone la cui capacità di sognare, e amore per il calcio, sono andati oltre ogni ostacolo.

L’entusiasmo del riscatto

Il racconto diventa entusiasmante quando entra nel vivo della competizione giocata. Si resta sbalorditi e quasi frastornati davanti alle immagini dello stadio Azteca, straripante e festante. Si può percepire il senso di vertigine che devono aver provato le giocatrici entrando in campo. Ci si ritrova a esaltarsi per una giocata e a fare il tifo per uno dei due schieramenti, anche se la patina vintage delle immagini ricorda che sono partite di cinquant’anni fa.

E poi arriva l’esperienza diretta dell’incontenibile Elena Schiavo, capitana della nazionale e ritenuta ai tempi la più forte calciatrice al mondo, che ci fa vivere i successi delle azzurre in campo e anche la rissa a fine partita contro la nazionale organizzatrice, il Messico.

Sono immagini di una grande festa che lascia incredule le calciatrici. Arrivano da campi sterrati di periferia, alcune senza maglia né scarpe per giocare, dove non avevano mai goduto della forza inebriante del tifo, solo qualche insulto o invito a tornare a casa a cucinare o fare la maglia. In quell’agosto del 1971 in Messico, invece erano dive inseguite per autografi, fotografie e interviste. Si sentivano al centro del mondo e, soprattutto, il loro sogno adesso sembrava divenire realtà.

Copa71: la finale a rischio

Il grande successo di pubblico aveva comportato un altrettanto grande successo economico dell’evento. Alle calciatrici, però, non spettava nulla se non la gloria di giocare nella competizione. Le messicane provano ad avanzare qualche pretesa retributiva, minacciando di non giocare la finale, ma senza esperienza e senza appoggio la loro protesta non durò molto e capitolarono sia fuori, sia dentro il campo contro la Danimarca, vincitrice del primo trofeo mondiale, anche se non ufficiale.

La cruda realtà del sogno infranto

Al rientro a casa le calciatrici scoprirono di aver vissuto in una bolla.

Le minacce della FIFA avevano indotto diverse federazioni a vietare la pratica femminile del calcio e, addirittura, in Inghilterra a bandire le donne dai campi da gioco. Molte non hanno mai più giocato a calcio, né parlato mai più di quella che è stata forse la più grande avventura della loro vita.

Diverso l’epilogo per le italiane, che sono tornate a giocare nel loro campionato e a fare presenze in nazionale, sebbene nelle stesse condizioni di semi-invisibilità di prima.

A luci accese

Fandango, che distribuisce la pellicola nelle sale italiane in collaborazione con Ultimo Uomo per la rassegna In campo, invita le squadre organizzando a fine proiezione incontri di dibattito con alcune protagoniste della storia o del presente calcistico del nostro paese. Al Cinema Beltrade, tra le giovanili femminili di Inter e Milan, in sala c’erano proprio Daniela Sogliano e Maurizia Ciceri.

Tra loro ancora sguardi di intesa dopo tanti anni, hanno scherzato sulla partita contro il Messico “pilotata” in favore delle organizzatrici. Poi più seria Sogliano: “Mi spiace molto scoprire che le mie colleghe inglesi hanno addirittura rimosso quei bei momenti. È importante parlare delle nostre storie per ispirare la crescita del movimento. Oggi le cose vanno molto meglio di allora, ma c’è ancora tanta strada da fare”.

Sogliano si è rivolta alla platea chiamando in causa un’altra spettatrice presente, Nazzarena Grilli, ex calciatrice, allenatrice e Panchina d’oro per la stagione 2010-2011, che è intervenuta sulla situazione attuale in Italia: “L’affiliazione alle squadre maschili che sta dando supporto al movimento è ancora una scelta dall’alto, una imposizione della federazione, bisogna ricordarlo.

Copa71: un calcio che si gioca “nonostante”

Prima di questo obbligo le donne hanno comunque continuato a giocare e a cambiare la percezione che la società ha di loro. Solo per fare alcuni esempi: i campionati inglese, francese e tedesco sono tra i più competitivi al mondo, le finali di Women Champions League macinano record di spettatori ogni anno, in Italia le calciatrici sono state le prime atlete a essere riconosciute come professioniste.
E questo accade anche perché le storie di calcio giocato da donne sono spesso storie di ragazze che giocano nonostante tutto. Nonostante il parere contrario della famiglia, gli insulti gratuiti a bordo campo, nonostante il pregiudizio della società e, un tempo, persino nonostante l’opinione della comunità scientifica che sosteneva come il calcio fosse uno sport dannoso per il fisico femminile.

Sorge spontaneo chiedersi: ma chi glielo fa fare?

La risposta è di una semplicità disarmante: la passione per il calcio giocato.