Questa estate nostro malgrado, abbiamo assistito a due disastri sportivi per la nazionale italiana: l’eliminazione agli ottavi di finale di Euro 2024, da campioni in carica, per il calcio, e l’eliminazione al preolimpico, con conseguente mancata qualificazione per i Giochi di Parigi 2024, per la selezione del basket. E se in altri sport come ad esempio tennis, pallavolo e atletica l’Italia negli ultimi tempi spicca, troviamo difficoltà nel farci riconoscere nei due sport più praticati nel nostro Paese. Arrivati a questo punto quindi, quali sono i veri problemi che negli ultimi anni stanno riscontrando le due selezioni?
Se sul campo lo spirito e la forza di gruppo sono sempre stati degli elementi imprescindibili per ogni selezione italiana, quest’anno, più nel calcio che nel basket, è sembrata svanire anche quel tipo di magia. Perché c’è da dirlo chiaramente, l’Italia è riuscita a trovare la vittoria nello scorso Europeo per una grande forza del gruppo e un’enorme coesione che ha portato a tirar fuori il meglio da ogni calciatore, nonostante tante altre nazionali fossero più attrezzate. Nel calcio così come nel basket quando, nell’Europeo del 2022, prima di arrenderci alla strapotenza francese ai quarti, siamo riusciti a battere la Serbia di Nikola Jokic, non proprio uno qualunque.
La Nazionale di Spalletti
Quest’anno i problemi sono stati evidenti, nel calcio soprattutto. I calciatori schierati dal CT Luciano Spalletti sono sempre sembrati un po’ spaesati all’interno del campo, si sono ritrovati a giocare in posizioni diverse rispetto a quelle abituali e sembravano dover seguire una sorta di diktat imposto dallo stesso CT.
Ci sono chiare immagini in cui si può vedere e sentire Spalletti fare richieste insolite per un giocatore come Frattesi, dove gli si chiedeva un compito di impostazione, quando il centrocampista dell’Inter è in realtà abituato ad attaccare la profondità e inserirsi in maniera costante. Il famoso “blocco Inter” non è stato utilizzato a dovere, i moduli e i giocatori cambiati sono stati tanti e le idee sembravano essere davvero confuse. Poca chiarezza che ha portato a un risultato evidente, una vera e propria umiliazione da parte della Svizzera.
La Nazionale di Pozzecco
Discorso in parte diverso ma similare per gli uomini di coach Gianmarco Pozzecco, che hanno dovuto fare i conti con la pesante assenza per infortunio di Simone Fontecchio, giocatore più forte a roster. Nonostante il solito Melli e il rientro in Nazionale del “Gallo” Danilo Gallinari, l’Italia ha faticato, perdendo due dei tre incontri disputati.
Se contro il Bahrain all’esordio non ci sono stati problemi, vincendo 114-53, facendo registrare il quarto maggiore scarto di sempre (61 punti), contro il Porto Rico di un ispiratissimo Josè Alvarado la musica è cambiata: sconfitta con il risultato di 80-69, terminato il girone da secondi e condannati allo scontro con i giganti Lituani e uno dei migliori centri NBA, Domantas Sabonis. Il problema, più che quest’ultimo, sono stati i 23 punti col 60% dai tre punti di Marius Grigonis, che ha trascinato i suoi al punteggio di 88-64 e ha quindi condannato gli azzurri all’esclusione dai giochi di Parigi. Prestazioni insufficienti e nel complesso deludenti dopo gli ultimi buoni anni della Nazionale, che hanno causato molta delusione nelle case degli italiani.
La gestione della crisi… Nazionale
I problemi però, arrivano dalla base. I capi delle rispettive federazioni sono al centro di diverse polemiche per via del loro operato, ritenuto insufficiente dalla maggioranza dei tifosi italiani. Per Gabriele Gravina, Presidente della FIGC, le critiche sono incessanti fin dalla mancata qualificazione della Nazionale al Mondiale in Qatar del 2022, a causa di un operato ritenuto scadente e con un progetto per risollevare il calcio italiano non all’altezza, secondo i più. Mentre per Gianni Petrucci, ex Presidente del CONI e oggi a capo della FIP, le polemiche principali sono concentrate sulla mancata naturalizzazione di talenti del calibro di Paolo Banchero e Donte DiVincenzo, e anche di un giocatore utile come Drew Eubanks.
E’ necessario partire da un concetto base: la naturalizzazione dei giocatori è una cosa ormai all’ordine del giorno del mondo dello sport, soprattutto nel basket. In Italia siamo ancora molto indietro sotto questo aspetto, basti guardare le polemiche dopo l’esordio di Mateo Retegui con la Nazionale di calcio. Nel nostro paese, purtroppo, si fa ancora fatica a riconoscere come italiana al 100% una persona nata e cresciuta all’interno dello stivale, magari solo per via di una diversa etnia o per via di genitori stranieri.
L’esempio di Sinner
Ne sa qualcosa Jannik Sinner, che nonostante sia italiano e un orgoglio per la nostra nazione, si ritrova sempre qualcuno contro per questo motivo. Nell’atletica sono stati fatti passi da gigante sotto questo aspetto, e i risultati parlano eccome. Petrucci dovrebbe prendere esempio proprio dalla Fidal, perché l’occasione di far giocare per la propria selezione star NBA come Banchero e DiVincenzo non capiteranno tutti i giorni. Le polemiche sono alimentate proprio dalla volontà degli stessi giocatori di vestire azzurro, ma un intervento troppo tardivo della federazione, come per Banchero che alla fine ha scelto di rappresentare gli USA, o addirittura assente come per DiVincenzo ed Eubanks, ha sempre fatto saltare tutto. Eppure la naturalizzazione va sdoganata, ma questo è un argomento sul quale in Italia abbiamo ancora davvero tanto da imparare.
Il settore giovanile
A livello giovanile, l’Italia è sempre stata una buona Nazionale, ma ci si chiede spesso quale sia il motivo per il quale la maggior parte dei talenti delle giovanili delle nostre società, non riesca a farcela nel mondo dei grandi. Guardando al passato recente, possiamo trovare un importante parallelismo tra i due sport: le nazionali under 17. Nel calcio, i ragazzi si sono laureati campioni d’Europa battendo il Portogallo con un secco 3-0 in finale. Mentre nel basket, gli azzurrini si sono dovuti arrendere ai ragazzi prodigio degli Stati Uniti nella finale del mondiale di categoria, arrivando così secondi.
Il calcio
Partendo dal calcio, la visione che si ha nei confronti dei giovani ormai è nota: secondo l’opinione comune non sono pronti per il grande salto, motivo per cui hanno bisogno giocare diverse stagioni in prestito, per poi tornare alla base e rischiare di non essere comunque all’altezza, e quindi perdersi in campionati minori. Certo, non sono tutti Lamine Yamal, appena diciassettenne che incanta tutti con le sue giocate da più di un anno. C’è da chiedersi questo però: come mai in tutti gli altri campionati i giovani sotto i vent’anni giocano frequentemente anche nei top club, e in Italia invece no?
Qui c’è sempre un problema alla base, sono ritenuti sempre acerbi e si ritengono ancora giovani promesse giocatori di 24 o 25 anni (come Rafa Leao, per dirne uno), players che invece dovrebbero essere invece nel pieno della loro carriera. Per toccare ogni punto riguardo a questa tematica servirebbe forse un libro, ma il problema sta principalmente negli allenatori, la cui paura di perdere il posto è maggiore rispetto alla voglia di far giocare un ragazzo giovane e meritevole. Non si lascia più il tempo di sbagliare, al primo errore i giudizi in questo Paese saranno più forti di ogni cosa. Stessa cosa vale per le scuole calcio, dove agli allenatori interessa più vincere nell’immediato, rispetto che sviluppare il talento dei bambini.
Il basket
Passando alla palla a spicchi, ci si chiede cosa manchi ancora al basket italiano. In questo caso vale lo stesso discorso fatto riguardo alle scuole calcio. Su questo tema Maickol Perez, una delle stelle della nazionale italiana under 17, si è espresso ai microfoni di Cronache di Basket, parlando di un’assenza di mentalità e facendo paragoni con altre nazioni. “Credo in Italia manchi mentalità. La Francia sta prendendo spunto dal modus operandi americano e infatti stanno esplodendo sempre più giocatori. Li sviluppano per quello che dovranno essere senza pensare all’impatto immediato. Crescono e sviluppano un giocatore per quello che dovrà essere a 20 anni quando, ad esempio, dovrà giocare in NBA. Hanno una visione volta al futuro e alla carriera, non all’immediato o alla singola partita. Si tratta di un processo a lungo termine.”
Parole che sembrano quasi non appartenere a un ragazzo di 17 anni per la maturità espressa, ma che racchiudono e rappresentano alla perfezione la problematica principale dei settori giovanili italiani, di basket e di calcio, con una situazione che speriamo possa risolversi al più presto, per il futuro dello sport azzurro.