Assume that i can
Associazioni e Istruzione

Assume that i can, da Cannes al Brugo per dire “Lo posso fare”

Le persone con difficoltà cognitive, a dispetto delle credenze di molti di noi, sono perfettamente in grado di svolgere le attività che costellano le giornate di tutti. Grazie alla campagna Assume that i can ha acceso un faro su questa forma di discriminazione.

Scritto da

Federico Testa

Pubblicato il

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“Assume that i can” si aggiudica il Leone d’oro al Festival della creatività di Cannes 2024, rassegna internazionale dedicata al mondo della pubblicità. Questo corto ha fatto il pieno di premi vedendosi assegnare altri 6 riconoscimenti, tra Leoni d’argento e di bronzo. Il premio viene consegnato nelle mani di Madison Tevlin, giovane attrice con sindrome di Down protagonista della campagna. “Assume that I can” è la frase che Madison, con tono di rimprovero, pronuncia alla fine del cortometraggio girato dall’agenzia Small, per poi concludere con “so maybe i will”. In queste due frasi è rivelato il senso della campagna

Giornata mondiale Sindrome di Down


In occasione della giornata mondiale sulla Sindrome di Down dello scorso 21 marzo, CoorDown (coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down) ha lanciato la campagna di sensibilizzazione internazionale volta a porre fine ai pregiudizi legati alle persone con sindrome di Down. Il focus del film è posto sull’importanza che il linguaggio ha nelle relazioni sociali e in particolare sul potere che detiene verso le persone con la Sindrome di Down.

Lo storytelling è strutturato in modo simmetrico: nella prima metà vengono elencate tutte quelle situazioni nelle quali, a causa di un pregiudizio, la protagonista non ha avuto la possibilità, ad esempio, di bere un Margarita, oppure imparare Shakespeare a scuola, o ancora vivere da sola. La seconda metà ripropone tutte queste situazioni escludendo il pregiudizio. Rivela come, senza il peso delle presupposizioni infondate, Madison riesce ad affrontare tranquillamente tutte quelle sfide che fan parte del quotidiano di ognuno. 

Il volto di Madison


Madison è diventato il volto di tutte quelle persone che si sono stancate di essere trattate come bambini incapaci di affrontare la vita, di essere compatite e quindi escluse dalle “cose da grandi”. Nonostante questa campagna specifica sia pensata per i ragazzi con la Sindrome di Down, ci sono molte altre persone con problematiche differenti che si sentono come Madison. 

Ad esempio la storia di Arthur, che quando è a cena con i suoi genitori e ordina una bottiglia di vino è automaticamente escluso dalla conta dei bicchieri. Oppure Clever che, costretto in sedia a rotelle, viene rimbalzato all’entrata del pullman. Di storie così ce ne sono molte ma, grazie a cooperative come il Brugo, possiamo concentrarci sulla seconda parte del video, quella dove il pregiudizio non esiste. 

I ragazzi della cooperativa Il Brugo


Abbiamo avuto l’occasione di intervistare i ragazzi del Brugo, cooperativa brugherese che si pone l’obiettivo di creare un servizio in cui le risorse delle persone con disabilità vengano valorizzate. Quello che ne è emerso è l’accuratezza con la quale la campagna “Assume that I can” è riuscita a descrivere il sentimento di molte persone. Le analogie tra le storie raccontate dai ragazzi del Brugo e quelle descritte dalla campagna sono molte.

Se infatti è vero che i limiti di cosa possono o non possono fare queste persone è posto da linguaggio e dal modo in cui sono trattate, il Brugo, attraverso diverse iniziative che offrono un aiuto concreto, permette ad ognuno di loro di andare oltre.

Le esperienze


È il caso di Marcello, ex giocatore di basket e appassionato di musica, che attualmente gioca a calcio integrato e lavora ormai da due anni in falegnameria, oltre ad essere il cantante di una band.

Mi parla dell’ultimo traguardo raggiunto, grazie all’iniziativa ”ricomincio da tre”, che gli ha permesso di convivere insieme a due amici nel centro di Monza. Ma anche di Sara che lavora da Zara e, mentre ricorda con nostalgia i balli di coppia che faceva insieme a Daniele e le partite di pallavolo con le amiche, ci racconta che sta scrivendo un libro. O ancora di Euri, tirocinante da McDonald, che mentre si da da fare al lavoro e aspetta le ferie per tornare nel suo paese di origini, Santo Domingo, dove troverà amici e parenti.

Ci colpisce il fatto che a turno ognuno dei ragazzi ha tenuto a raccontarci le numerose attività che compie nell’arco della giornata. Oltre a quelle già citate c’è Pietro, giocatore di basket presso la polisportiva Il Sole, che, quando non lavora in un supermercato, suona la batteria in una band con la quale si è esibito live a Eataly, nel cuore di Milano. C’è anche chi suona il clarinetto nella celebre banda di San Damiano, o chi come Marco è appassionato di manga e anime. Passione che, grazie al corso tenuto dall’associazione Filipness, è riuscito a coltivare con cura. 

Quello che emerge alla fine della nostra chiacchierata è la consapevolezza che queste persone hanno delle proprie capacità. Consapevolezza che manca a noi, “persone normali”, che troppo spesso diamo per scontati limiti che questi ragazzi spesso non hanno, e senza nemmeno conoscerli. È grazie a cooperative come il Brugo e a campagne come “Assume that I can” che questa consapevolezza può e deve arrivare a tutte le persone.