Stefano Pioli
Editoriali, Sport

Ad maiora mister Pioli, grazie di tutto.

San Siro rende il giusto commiato a Stefano Pioli, un normalizzatore che ha saputo riportare il Milan dove gli compete

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Gius Di Girolamo

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E’ il giorno dei saluti per Stefano Pioli. Si è conclusa la sua esperienza al Milan che resterà, statene certi, scolpita nella storia rossonera. Sono i risultati che parlano. Uno scudetto, due secondo posti, una semifinale di Champions League. Dalle parti della Milano casciavit, erano anni che non si bazzicavano i piani alti.

Poi certo, ci sono anche i sei derby persi, due mancate qualificazioni agli ottavi di Champions, la sconfitta contro la Roma in Europa League e una Coppa Italia che poteva essere giocata con più cattiveria e voglia di vincere, sotto la sua gestione. Ma solo chi è malafede può ricordare solo i passaggi a vuoto. E non dite che vincere una Copp(ett)a Italia avrebbe cambiato la storia e il pedigree, suo e del Milan. Sarebbe una bugia, perché non avrebbe fatto alcuna differenza.  

Mister Pioli il traghettatore

Arrivato nell’autunno del 2019 ricevendo il testimone da Marco Giampaolo, doveva traghettare il Milan e le sue macerie attraverso una stagione che a novembre era già stata compromessa, nell’attesa che la società scegliesse il nuovo titolare della cattedra. Al debutto, in vantaggio per due volte sul Lecce si fa rimontare due volte. Nel derby, in vantaggio 2-0 subisce 4 reti nella ripresa. Nella prima partita dell’era Covid, prima che il campionato subisca lo stop forzato, viene sconfitto in casa dal Genoa. 

In seguito il mondo si ferma, la pandemia impone distanziamento sociale, lo sport insieme a tante altre attività vanno in standby. Quindi a giugno il campionato riprende, per la panchina nel frattempo è stato scelto Ralf Rangnick ma il Milan di Pioli è una squadra diversa. Sotto 0-2 con la Juventus vince 4-2, batte entrambe le romane e pareggia con Napoli e Atalanta giocando un calcio spumeggiante.

Da supplente a effettivo

Troppo tardi per conquistarsi un posto in Champions League, ma lavorando sodo e non dicendo mai una parola fuori posto, da precario diventa effettivo, meritandosi la riconferma. Rangnick va in Premiere, sulla panchina delle United, con scarsissimi risultati. 

La stagione successiva Stefano Pioli riporta il Milan in Champions League dopo 7 anni di assenza, conquistando la seconda piazza dietro l’Inter di Conte. Quindi, dodici mesi dopo vince un insperato scudetto. Il campionato 22/23 porta in dote una semifinale di Champions League. Che di per sé sarebbe un gran risultato, ma uscire contro l’Inter per i tifosi è un’onta incancellabile.

La quarta piazza in campionato, che sarebbe una quinta senza la penalizzazione della Juventus, non placa anzi fomenta il malcontento.  

La fine di un ciclo, un commiato commosso per Pioli

La stagione che conclusasi stasera con Milan – Salernitana, terminata 3-3, porta in dote un altro onorevole secondo posto. Ma la sua avventura al Milan è già finita da alcune settimane, lo sanno anche i muri. 

Oggi il saluto a un tecnico che, “Pioli is on fire” a parte, non ha mai scaldato la tifoseria. Anzi, quel coro scandito per un annetto all’inizio di ogni partita, è stato alla fine dei conti un boomerang. Quando i risultati in campionato sono diventati altalenanti e il gioco meno fluido, è stato un termometro del malcontento del pubblico, sempre meno partecipe. Fino a decidere, per scongiurare silenzi imbarazzanti, di non intonate più il canto per il mister.

Stefano Pioli

Un tecnico fedele alla società

Lui però non ha mai smesso di lanciare messaggi che qualcuno direbbe di amore, verso società e tifosi, io preferisco definirli di fedeltà. E’ stato un soldato leale. Sa benissimo che ha avuto una chance importante in un momento della sua carriera in cui il treno delle big sembrava ormai passato. E il Milan sa che quello scudetto è suo, in primis, poi di Ibra e Maldini. 

Per questo non ha subito, nonostante venisse invocata a gran voce, l’onta dell’esonero, nei momenti più difficili. Senza, in realtà, che sia riuscito a comprendere realmente il perché di questa ostilità. 

La realtà però e che questo normalizzatore, questo onesto lavoratore della panchina, che magari non figura nella top ten dei migliori tecnici, ha svolto un lavoro incredibile. 

Dando, almeno per un certo periodo, un gioco e una identità ben precisa alla sua squadra, che magari faceva fatica ad andare in gol ma era solidissima a centrocampo e in difesa. Trasformando l’ingrato Kessie in un pilastro, facendo crescere Kalulu, finché non ha messo insieme una fila incredibile di infortuni, facendo maturare Theo Hernandez, avendo avuto pazienza con Tonali che il primo anno aveva faticato e restituendo una seconda giovinezza a Giroud. Riuscendo persino a valorizzare giocatori magari non proprio da Milan come Saelemaekers o Junior Messias, che hanno saputo rendersi utili, almeno fino a un certo punto della sua gestione. 

Non solo, ha fatto anche da parafulmine, prendendosi tutte le colpe, anche quelle non sue. Per esempio quando gli hanno preso Jovic anziché Taremi. O quando gli hanno preso Vranks e Adli anziché Frattesi. E quando Leao non prendeva la porta nemmeno da un metro, per dirne un’altra. Sempre e solo colpa sua. Del tipo: piove, Pioli incapace. 

Errori e limiti di Pioli

Significa che non ha commesso errori? Affatto, ne ha commessi eccome. Più che errori, probabilmente ha messo in mostra i suoi limiti tattici, in alcune occasioni. Quando le avversarie hanno iniziato a leggergli lo spartito, non ha quasi mai trovato una variazione sul tema. Ciò si è manifestato soprattutto nei derby con l’Inter che negli ultimi due anni ha saputo abilmente individuare e sfruttare tutti i punti deboli del Milan, sia tecnici che tattici.

Non è riuscito mai a risolvere, assieme al suo staff, il grosso problema degli infortuni, che sotto la sua gestione sono stati innumerevoli. E in alcune occasioni, nei momenti davvero più difficili, è parso addirittura in confusione, provando una improbabile difesa a tre o sperimentando Leao centravanti. 

Fare i conti con la realtà

Al netto però di alcune lacune, la sua resta una gestione molto positiva. Il suo è stato un ciclo che ha riportato il Milan dove gli compete, o molto vicino a dove gli compete. Con una buona squadra che però, è bene ricordare, non figura come valore tecnico della rosa nelle prime cinque squadre d’Europa e probabilmente neanche nelle prime dieci.

Ecco, per effettuare una analisi davvero attentata del lavoro di mister Pioli, bisognerebbe tornare a raccontarsi la verità su questa rosa. Che non è niente male, ma non è un top team, almeno non a livello continentale, come alcuni credono. Certo, poi l’Atalanta e lo stesso Milan, hanno dimostrato che questo meraviglioso gioco si interpreta di squadra, come collettivo, e quindi puoi vincere anche se sulla carta non sei il migliore di tutti. Lo scudetto vinto nel 2021/22 ha rinverdito i fasti di una società gloriosa che da troppo tempo non primeggiava, ma anche avuto l’effetto di fare vivere molto tifosi una realtà parallela, in cui si sono convinti che potessero tornare a dominare in lungo e in largo come un tempo.

Non è così. La proprietà impersonata da Gerry Cardinale è stata sempre molto chiara: non si sono fatte e non si faranno, spese folli. L’uscita di scena di Pioli nei sogni proibiti ma confessatissimi dei sostenitori rossoneri avrebbe dovuto portare un nome di richiamo al timone, tipo Antonio Conte, ma non vi è stata mai la reale intenzione. 

Il futuro

Quasi certamente sarà Fonseca a sostituire Stefano Pioli. Un profilo in linea con le volontà di spesa della proprietà. Il ciclo Pioli è evidentemente terminato da alcune settimane, altrimenti verrebbe quasi da chiedersi: perché cambiare? Poco prima dell’aprile di fuoco che ha deciso il suo futuro in maniera definitiva, sembrava essersi riguadagnato di nuovo la fiducia della società, poi è andata come sappiamo.

A fronte di ciò che è successo in quei 20 giorni non era pensabile continuare a sbattere la testa, perseverando su una strada diventata un vicolo cieco. Certi equilibri interno, quando mancano i risultati, si rompono, magari involontariamente, inconsciamente, ma succede. Quindi è giusto separarsi, mister.

Ma sarà la storia, più ancora del commosso tributo conferitole questa sera, che renderà giustizia al suo lavoro, onesto, sincero, fedele, appassionato e competente. Buon lavoro, ovunque la porterà il mercato, e buona fortuna.