lunedì, Ottobre 13, 2025
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Ibrahimovic show a Trento “Il Pallone d’Oro? Almeno due!”

Alla terza giornata del Festival dello Sport di Trento, campioni come Ibrahimovic, Matthäus, e lo scrittore Roberto Saviano hanno incantato il pubblico con storie di calcio, passione e vita. Tra aneddoti, riflessioni e ironia, la città ha vissuto una giornata di code, applausi ed emozioni. Un sabato in cui lo sport si è fatto racconto e cultura

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È stata una terza giornata del Festival dello sport di Trento in cui la presenza di alcune stelle mondiali delle diverse discipline hanno “costretto” gli appassionati a lunghe file. All’Auditorium Santa Chiara, solo nella giornata di ieri sono apparsi uno in fila all’altro, in ordine cronologico: Belinelli alle 12:30, Zlatan Ibrahimovic alle 15, Lothar Matthaus alle 18 e in chiusura di giornata, a partire dalle 21 è stata la volta di Roberto Saviano, che ha raccontato della sua e soprattutto di suo padre per Napoli.

Anche per Heo Post è stata una giornata campale, fatta di lunghe attese, entrate e rapide uscite per rimettersi in fila per l’evento successivo. Nel primo pomeriggio abbiamo seguito Ibrahimovic che ha dato vita un’esibizione delle sue, di quelle che lo fanno amare o odiare, dipende da quale parte della barricata vi ponete.

Ibrahimovic parla e Cooper gioca a Candy Crush

Prima di sintetizzare l’incontro con il suo pubblico, riportando gli istanti salienti, non abbiamo potuto fare a meno di notare che, seduto poco distante da noi, l’ex campione dei Los Angeles Lakers Michael Cooper – preso d’assedio dai giovani fans presenti prima dell’inizio – durante tutta l’intervista a Ibrahimovic si è dilettato giocando a Candy Crush e guardando video su Instagram.

Speriamo che Cooper non ce ne voglia, ma era una circostanza troppo curiosa per non riportarla. A sua discolpa, bisogna dire che l’evento era in lingua italiana, quindi per lui totalmente incomprensibile.

Ibrahimovic e Allegri

Tornando a Ibrahimovic, la chiacchierata con Arianna Ravelli e Antonio Morici è stata incentrata quasi completamente sulla sua esperienza milanista, che dura tuttora, partendo dalla prima parentesi, aperta nel 2010 e chiusa nel 2012. Anticipati nei giorni scorsi da una intervista alla Gazzetta dello sport, è ritornato comunque su alcuni temi quali la lite con Allegri dopo la partita di ritorno di Champions League contro l’Arsenal, nel 2012, in cui l’allenatore del Milan, dopo aver incassato l’appunto dello svedese, che gli imputava la colpa di aver portato ben due portieri in panchina – alludendo a un atteggiamento troppo difensivo della squadra – il tecnico rispose “Sì, ma tu hai giocato male”.

“E da lì, sono partito” rivela Ibrahimovic sorridendo e rivelando che quella non è stata la sua unica lite col mister. Poi più seriamente confida che in realtà quelle sono situazioni che in uno spogliatoio accadono di frequente, ma che fanno clamore solo quando vengono rese note. Sul perché lasciò il Milan nell’estate del 2012 preferisce non tornare, mentre sul suo rientro in rossonero nel 2019 con fierezza dichiara che “È stata una mia scelta, una scelta d’amore”.

Ibrahimovi

Ibrahimovic “Modric mi avrebbe allungato di due anni la carriera”

Non rinnega, anzi conferma, che per lui Leao è uno dei giocatori più forti al mondo e alla domanda se dopo la partita con la Juventus abbia parlato con Rafa, risponde “Dopo la partita lo spogliatoio è territorio di Allegri”. Poi scrive una sinfonia in parole per Luka Modric “Se avessi avuto Modric come compagno di squadra la mia carriera sarebbe durata altri due anni. Nonostante l’età, Ancelotti ci ha rassicurato sull’integrità fisica del giocatore. Appurato questo, non abbiamo avuto dubbi, era lui l’uomo di esperienza che ci serviva”.

Non mancano i momenti alla Marchese del Grillo, come quando gli vengono chiesti i nomi di quelli che a suo parere sono i tre migliori giocatori della storia del calcio. “Ibrahimovic, Ibra e Zlatan” dice scherzando, ma non si sa fino a che punto; poi, facendosi più serio, immagina un podio composto da Ronaldo Luis Nazario da Lima, Maradona e Messi.

Ibrahimovic “Pallone d’oro? Ne mancano almeno un paio”

O ancora, quando gli chiedono se non trova strano non aver mai vinto un Pallone d’oro e lui si dice stranito di non averne vinti almeno un paio. Quando gli mostrano una foto di Guardiola e Mourinho, la platea si aspetta la sparata in stile Ibra sul tecnico spagnolo, che invece non arriva “Se ho perdonato Guardiola? Non puoi perdonare se non sai qual è il problema, io non ho questioni in sospeso con lui. Però recentemente ci siamo visti a New York, ha detto di essere felice di vedermi. Perfetto”. Grandi risate in platea.

In chiusura Ibrahimovic parla della sua passione per le Ferrari, “Mi hanno allungato la carriera, con quello che costa mantenerle….” e poi gli domandano se la cosa più strana che abbia mai fatto sia stata acquistare un’isola “No, è una cosa normale per me”, è stata la risposta che chiude virtualmente il sipario.

Matthaus, le trattative con Juve e Milan prima di approdare all’Inter

L’intervista a Matthaus è stata di tutt’altro genere. Il tedesco, molto composto e compito per carattere e con una età più matura, è rimasto fedele alla sua storia di calciatore, nel corso dell’intervista condotta da Pierfrancesco Archetti.

Il racconto inizia dal suo arrivo in Italia, all’Inter. Anzi, un pochino prima, perché solleticato sull’argomento rivela che nel 1986 prima la Juventus e poi il Milan avevano cercato di portarlo a vestire le rispettive casacche, ma lui non si sentiva pronto per il calcio italiano, che allora, è bene ricordarlo, era il più ambito da ogni giocatore. Nel 1988 accetta invece la proposta dell’Inter, a cui arriva insieme ad Andreas Brehme, da poco scomparso e a cui dedica un pensiero.

Una birra di benvenuto

Racconta poi un simpatico aneddoto, in cui lui e Brehme, appena approdati ad Appiano Gentile, sentono bussare alla porta della loro stanza alcuni compagni di squadra, che volevano dare loro il benvenuto. Benché si parlassero soltanto a gesti, finiscono a bere birra insieme. Trapattoni, preoccupato, dirà loro che gli italiani non reggono la birra come i tedeschi, quindi di non indurre i compagni in tentazioni che potrebbero costare caro.

Ed evidentemente i consigli del Trap vengono seguiti alla lettera, perché quello stesso anno i nerazzurri vincono lo scudetto. Significativo l’episodio di quel campionato in cui Lothar, parlando con Bergomi, che alla vigilia di una trasferta a Bologna dice che si acconterebbe di un pareggio, risponde al suo capitano “Macché pareggio, io voglio vincere, faremo quattro gol”. La partita terminerà 6-0 per l’Inter.

Matthaus a Bergomi “Ci penso io”

Episodio simile a quello che è lo stesso Bergomi a raccontare, in un video messaggio inviato all’ex compagno, in cui lo Zio ricorda una trasferta di coppa a Belgrado “Avevo lo sguardo fisso sul pavimento dello spogliatoio, nell’intervallo della partita. Eravamo sotto di un gol. Matthaus si avvicina e mi dice di non preoccuparmi, avrebbe segnato lui il gol del pareggio, nel secondo tempo. Così è stato”.

Il tedesco parla poi del rapporto simbiotico, seppure a tratti tempestoso, con Giovanni Trapattoni, suo allenatore prima all’Inter e poi al Bayern Monaco. Trapattoni che è stato anche una delle ragioni per cui ha lasciato Milano. “La squadra andava male con Orrico e gli infortuni condizionavano il mio rendimento. Nel 1991 dissi no al Real Madrid, ma un anno più tardi non potei rifiutare la proposta di tornare a Monaco”. In Baviera giocherà ancora per molti anni, a dispetto di chi lo dava per finito già a inizio anni Novanta, presidente Pellegrini compreso, a quanto pare.

Con la maglia del Bayern vincerà altri tre campionati, una Coppa Uefa e sfiorerà, è proprio il caso di dirlo, la vittoria in Champions League, nella drammatica – sportivamente parlando – finale con il Manchester United del 1998. Gli inglesi segneranno due gol nel recupero di quella partita, ribaltando il risultato.

Il gol scudetto al Napoli

Tornando a parlare della sua esperienza all’Inter, non si possono tralasciare la vittoria in Coppa Uefa nella finale contro la Roma, e la vittoria del Pallone d’oro nel 1990 dopo la vittoria dei Mondiali di calcio di Italia 90, con la Germania Ovest. E non bisogna dimenticare che lo scudetto dei record, quello del 1989 e dei 58 punti nell’epoca dei 2 punti, porta il suo sigillo. La partita decisiva vede di fronte Inter e Napoli, prima e seconda. Il Napoli passa in vantaggio con Careca ma nel secondo tempo l’Inter pareggia con un’autorete di Luca Fusi.

Il pareggio consentirebbe ai Nerazzurri di vincere lo scudetto la settimana successiva, ma a cinque minuti dal termine c’è una punizione dal limite dell’area a favore dei padroni di casa. Brehme tenta per due volte la conclusione, ma l’arbitro fa ripetere per il mancato rispetto della distanza da parte della barriera. Al terzo tentativo Matthaus dice al compagno “Adesso tocca a me, provo io”. Con un rasoterra imprendibile segna il gol vittoria, una vittoria che diventa così assoluta.

Il Napoli è mio padre, il monologo di Saviano

La giornata di sabato si chiude come meglio non potrebbe, con le parole incantate e incantevoli di Roberto Saviano, capace col suo stile narrativo di rendere incredibilmente affascinanti e recepibili anche le storie più sporche e violente. Nonostante la sua ora abbondante, introdotto dal vicedirettore della Gazzetta Gianni Valenti, parli del Napoli, della passione sua e del padre per la squadra della sua città, il pubblico è un po’ differente rispetto a quello dei semplici appassionati di sport. È un pubblico che per quanto innamorato dello sport della palla a esagoni, è pronto a sentirsi sbattere in faccia che “Il calcio è una schifezza – inteso come mondo degli affari, non come disciplina – potremmo stare qui ore a parlare di debiti, malaffare, infiltrazioni mafiose. Ma la bellezza del gesto sportivo, quello si, resta ed è quello di cui ci innamoriamo”.

Nel suo racconto Saviano parte raccontando che non sia passato giorno della vita, in cui parlando con suo padre, un medico in pensione che alla veneranda età di ottanta anni, voleva partire per aiutare le popolazioni afflitte dalle guerre in giro per il mondo, non gli abbia parlato del Napoli o di Maradona. Maradona che resta, insieme a San Gennaro, una icona, fonte di salvezza, la prospettiva di un miracolo. Tanto che il discioglimento del sangue, vero o presunto che sia, è visto quasi come rito pagano più che religioso, tanto quanto la magia che Diego sapeva regalare sul campo. Un miracolo, anch’essa.

Quella sera al San Paolo per Italia – Argentina

Narra di episodi ormai molto conosciuti, come quello della presentazione di Maradona al San Paolo a cui era presente, o del deposito del contratto in federazione, avvenuto prima con una busta vuota perché i termini stavano scadendo e poi, grazie alla compiacenza di un addetto, sostituita con il contratto vero e proprio, nelle ore successive.

Ma anche di episodi molto più personali che ci raccontano di una vicenda controversa, come quella della semifinale dei Mondiali tra Italia e Argentina, che malvagi dei del pallone, ma alcuni dicono anche un’organizzazione davvero colpevole, hanno permesso si giocasse a Napoli. “Avevo undici anni, ero in curva con mio padre. Noi ci provammo a fare il tifo per l’Italia, almeno per un’ora. Dopo il pareggio di Caniggia però, quando il resto dello stadio cominciò a fischiare l’Argentina (i biglietti erano stati venduti anche in altre città, per evitare che lo stadio fosse totalmente ostile alla nostra Nazionale) noi iniziammo a cantare per Maradona. In seguito, ricordo la rabbia di mio padre, per la finale che la Germania rubò, con un rigore totalmente inventato”.

Papà Saviano che, quando apprende della morte del Pibe de oro, sviene mentre si trovava a sbrigare faccende nella cucina di casa. Ciò sintetizza quanto sia grande l’identificazione della città con la squadra di calcio, “Cosa che – dice Roberto – non avviene, almeno non in questa misura, nelle altre città non solo d’Italia ma del mondo. Napoli è l’unica città dove se vuoi essere parte della comunità, napoletano a tutti gli effetti, puoi esserlo. Basta tifare Napoli”.

Milan e inter andrebbero commissariate

L’ultimo quarto d’ora del suo monologo è dedicato alla criminalità nel mondo del calcio, in particolare del mondo delle curve “Oggi gli ultrà controllano completamente la filiera del merchandising, dei parcheggi, del cibo e della droga fuori dagli stadi. I bus di tifosi scortati dalla polizia sono utilizzati per spostare la droga da una città all’altra, Il perché è presto detto: gli agenti sono lì per evitare scontri, non per fare ispezioni”.

In conclusione, parla di Milan e Inter, le cui tifoserie sono al centro di una inchiesta tuttora in corso “Le due società andrebbero commissariate perché conniventi, sapevano tutto e non hanno fatto niente. E non crediate che altrove le cose vadano diversamente. Il mondo degli ultrà è un ricettacolo di criminalità, il tifo è solo una copertura”.

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