sabato, Ottobre 11, 2025
HomeSportChechi, Rossi, Bebeto e Tomba: il trionfo dello sport a Trento

Chechi, Rossi, Bebeto e Tomba: il trionfo dello sport a Trento

La seconda giornata del Festival dello Sport di Trento celebra grandi campioni di ieri e di oggi: dalle emozioni di Nadia Battocletti alle gag di Chechi e Rossi, fino ai ricordi di Bebeto e alla grinta di Pippo Ricci. A chiudere, lo show travolgente di Alberto Tomba, accolto come una leggenda senza tempo

- Pubblicità -

Seconda giornata del Festival dello Sport a Trento e si entra nel vivo della manifestazione. Davvero un’accoglienza da star e non potrebbe essere altrimenti, per Nadia Battocletti, che sta dimostrando anno dopo anno che la sua piena maturazione sportiva non si è ancora compiuta e che può ancora confermarsi e migliorare. Purtroppo, il luogo prescelto dagli organizzatori è la sala della Fondazione Filarmonica che può contenere sì e no duecento persone, uno spazio troppo angusto per fare contente tutte le persone rimaste in fila per più di un’ora.

Chechi e Rossi, medaglie e amicizia

Abbiamo così rivolto sguardo e attenzioni a due sportivi che non hanno bisogno di presentazioni, due che hanno fatto incetta di medaglie alle olimpiadi, ai mondiali e poi hanno vinto anche il reality show Pechino Express: stiamo parlando di Antonio Rossi e Yuri Chechi. I due medagliati intervistati da Rachele Sangiuliano, che è stata anche un po’ la spalla delle loro gag, hanno dato vita a uno spettacolino davvero divertente fatto di aneddoti, battute, circostanze curiose e qualche gaffe.

Come quella che il Signore degli anelli fece al cospetto di papa Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000. A Wojtyla che gli disse “Io ti conosco”, Chechi rispose “Anche io ti conosco”. L’episodio che ha scatenato grandi risate in sala. Come per una punizione divina, Yuri rivela che quello stesso giorno subirà l’infortunio al bicipite che gli permise di prendere parte alle Olimpiadi di Sidney 2000 “Io sono ateo – rivela il ginnasta azzurro – ma quel giorno ho cominciato a sospettare che un’entità superiore esista”.

Un rapporto nato nella giuria di Miss Italia

Tanti gli episodi citati dai due amici, nel corso dell’ora che li ha visti protagonisti. Due eterni ragazzi che coltivano da lungo tempo il rapporto tra di loro e con le rispettive famiglie, tanto che uno dei figli di Rossi come secondo nome ha Yuri. Una amicizia di lunga data, vera, sincera, nata in occasione un’edizione del concorso Miss Italia di cui erano stati nominati giurati, e non alle Olimpiadi di Atlanta come di frequente viene riportato. Un rapporto quasi fraterno, almeno da quanto è dato vedere, che non è basato sulla loro condizione di sportivi di successo, o comunque non solo, ma anche e soprattutto fondato su l’affinità elettiva tra due giocherelloni che fuori dalle rispettive discipline, appaiono come due simpatiche canaglie.

Entrambi confermano indirettamente quando detto da Carolina Kostner giovedì, ovvero che l’onore di essere portabandiera per l’Italia alle Olimpiadi, naturalmente in edizioni diverse, sia stato uno dei passaggi più indimenticabili delle rispettive carriere.

Bebeto e il Mondiale di Usa 94

A proposito di grandi campioni del passato, alle 14 è stata la volta di uno degli attaccanti brasiliani che più ha fatto male a noi italiani e che, caso quasi irrepetibile almeno per l’epoca in cui era in attività, non ha mai frequentato i campi di gioco della Serie A. Lui è Josè Roberto Gama de Oliveira ma per tutti è semplicemente Bebeto. Per i pochi che non lo sapessero, con la maglia della nazionale brasiliana Bebeto ha infranto i nostri sogli di gloria nella finale mondiale tra Italia e Brasile di Usa 94.

Tutti la conoscono invece, l’immagine che più lo rappresenta: è la sua esultanza dopo il gol segnato contro l’Olanda nei quarti di finale del torneo, in cui insieme al compagno di reparto Romario, per festeggiare gol e nascita del figlio Mattheus, mima il gesto del bimbo cullato nelle braccia del papà. A proposito di quella finale Bebeto rivela che sarebbe dovuto essere lui il quinto rigorista per il Brasile, ma che l’errore di Roberto Baggio ha anticipato la festa carioca che in ogni caso era ormai già apparecchiata.

Bebeto si dimostra molto affettuoso e riconoscente nei confronti dell’Italia, benché non vi abbia mai giocato. Celebra campioni del calibro di Baresi, Maldini, Materazzi, Totti, Del Piero, Pirlo, Massaro e naturalmente Paolo Rossi, per il quale chiede un applauso della platea e naturalmente rivela di essere un grande estimatore di Carlo Ancelotti, attuale CT della Seleção. Si dice poi molto dispiaciuto che l’Italia stia vivendo una transizione che si sta prolungando oltremisura, per quanto riguarda il calcio.

Bebeto “Una finale Brasile – Italia? Prima vi dovete qualificare”

Proseguendo, Bebeto parla di alcuni dei più grandi attaccanti che hanno vestito la maglia verdeoro: Rivaldo, Ronaldinho, Romario, Zico, Leonardo, Roberto Dinamite, Edmundo e Ronaldo. A proposito di questi ultimi, non era possibile saltare il doloroso capitolo della finale di Francia 98, che i brasiliani hanno giocato contro i padroni di casa, venendo sonoramente sconfitti per 3-0. Bebeto dice che a suo parere il Brasile era nettamente più forte della Francia, ma che a causa del malore di Ronaldo nelle ore che precedettero il fischio di inizio, lui e compagni non furono nelle condizioni psicologiche di affrontare una partita così importante.

Il malumore di Edmundo, prima annunciato titolare e poi escluso dalla decisione dei vertici della federazione brasiliana di schierare comunque il Fenomeno nell’undici di partenza, con la conseguente confusione venutasi a creare nello spogliatoio scatenata da Edmundo stesso, come ben sappiamo uno che non parlava per interposta persona, ha fatto il resto.

In chiusura l’intervistatore gli chiede quando, a suo parere, Italia e Brasile potranno tornare a disputare una finale mondiale, Bebeto è caustico “Una data? Occorre prima che l’Italia si qualifichi”. Come dargli torto?

Pippo “Robin” Ricci conquista Piazza Duomo

All’ora dell’aperitivo in Piazza Duomo, a Trento, è il momento del capitano dell’Olimpia Milano e della Nazionale Pippo Ricci, che ha presentato il suo libro “Volevo essere Robin”. Ricci è quello che si potrebbe definire il campione della gente, quello che è arrivato in alto e non ha dimenticato le proprie origini, che ha sacrificato un pezzo della sua vita per arrivare dove, gli dicevano, non avrebbe potuto arrivare. D’altro canto, il titolo del libro è estremamente significativo: Volevo essere Robin, è l’ammissione di un uomo che conosce i propri limiti ma che per realizzare i propri sogni, li ha superati.

Pippo è un ragazzo che per tutta la sua carriera ha vissuto sulle montagne russe dell’emotività, passando dalle gioie incontenibili alle cocenti delusioni: Il successo nella Coppa Italia con Cremona e poi il taglio da parte del CT Sacchetti (che nonostante questo episodio considera un secondo padre) in Nazionale; lo scudetto da capitano con Bologna che due giorni dopo lo scarica, i tre scudetti consecutivi con Milano e le eliminazioni in Eurolega…

Robin diventa Batman contro Porto Rico

Una storia di sport intensa ma anche di vita e sofferenza: il basket scelto per emulare il fratello, il fisico non propriamente da atleta, i problemi nel rapporto con il cibo, il bullismo di cui è stato vittima, la lontananza da casa e il rapporto coi fratelli prima smarrito e poi ritrovato; poi gli studi, gli esami all’università, lo squallore della vita da sportivo in foresteria…. Insomma, non si può non affermare che tutto quello che ha conquistato non se lo sia guadagnato. E siccome anche Robin una volta nella vita ha sognato di essere Batman, Ricci ha raccontato l’episodio a suo parere più alto della sua carriera, quello in cui ha fatto la differenza, nel 2023 con la canotta della Nazionale, ai mondiali contro Porto Rico. Al termine di quella sfida venne anche premiato come MVP.

Robin naturalmente non si dimentica degli ultimi e con la sua associazione Armani Education, farà costruire una scuola in Tanzania “Non salveremo il mondo – dice – ma qualcuno starà meglio”. Infine, prima della chiusura di questo incontro col pubblico, abbiamo l’opportunità di porre una domanda al capitano dell’Olimpia

Pippo, ma Robin si nasce o si diventa?

Credo che se preferisci un assist a un canestro, se non ti arrabbi per una sostituzione, se gioisci per una giocata di un compagno, se ti senti importante anche quando resti in panchina sei Robin, ed è una cosa che hai o non hai, non si diventa Robin. Batman si, lo puoi diventare con le qualità tecniche, con l’applicazione, con la mentalità. Ma Robin lo sei o non lo sei.

Tomba la bomba

La seconda giornata del festival dello sport si chiude con un ciclone che si abbatte su Trento, anzi, sarebbe meglio dire una valanga dal nome Alberto Tomba. All’interno di un Auditorium Santa Chiara stracolmo di gente e di passione per lo sciatore bolognese, che nonostante abbia appeso gli sci al chiodo da quasi trent’anni continua a essere uno degli sportivi più amati del nostro Paese, Alberto dà vita a one man show di quelli di cui lui è capace. La vittima sacrificale è il povero Antonio Rossi, che avrebbe il compito di intervistarlo ma che è completamente travolto dalla guasconeria di Tomba, che parla col pubblico, coi tifosi, coi dirigenti delle FIS presenti in sala. Il gioco sarebbe molto semplice: scorrono delle immagini dei suoi successi sullo schermo e lui dovrebbe raccontare della sua impresa sportiva.

Invece, per ogni immagine, Alberto finisce quasi sempre per virare su aneddoti extra pista: le feste post vittorie, il pettorale della sua prima medaglia d’oro alle Olimpiadi di Calgary 1988, che gli fu sottratto da una manina rimasta senza volto e nome. Arrivano anche i video saluti degli avversari di sempre Pirmin Zurbriggen, Mark Girardelli, Jure Kosir. Quando poi si tocca il tema delle discipline veloci, che non ha mai amato, si fa serio e dedica un pensiero alla famiglia del discesista Matteo Franzoso, morto un mese fa in Cile, nel corso di un allenamento. “Occorre che le condizioni per disputare le discese libere e i supergiganti siano ottimali, invece quasi mai lo sono e io dopo essermi rotto la clavicola nel 1989, nel corso del Super G di Val d’Isere, ho deciso di disputare solo le discipline tecniche”.

“Ritiro precoce, ho sbagliato”

Si torna a sorridere quando appaiono le immagini delle prime pagine della Gazzetta completamente dedicate alle sue imprese “Peccato, non c’è il calcio in prima pagina… ah sì, forse lì in basso, un trafiletto”. Prima di dedicarsi al suo pubblico, che non vede l’ora di potergli strappare un selfie o un autografo, fa una ammissione “Avevo 31 anni quando mi sono ritirato, era troppo presto, ma in quel momento ero nauseato dai sacrifici che lo sport implica, non ne potevo più. Ho sbagliato”.

TI POTREBBERO INTERESSARE...
- Pubblicità -
- Advertisment -

I più letti

- Advertisment -