Il grande Torino
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Teatro, in scena il Grande Torino e l’Italia post bellica

Gianfelice Facchetti porta in scena un monologo che omaggia la storia del Grande Torino, che è un po’ anche la sua storia e quella di noi tutti. Una cartolina da una Italia in cerca di una nuova identità e un nuovo rinascimento che si aggrappa forte forte alle maglie spesse degli sportivi dell’epoca.

Scritto da

Gius Di Girolamo

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Il teatro non è solo intrattenimento. Il teatro è cultura, educazione, bellezza, racconto e tradizione. Tradizione che non si manifesta solo nel rito stesso del teatro, ovvero il pubblico, gli attori, il palcoscenico, gli applausi e il bis finale, ma anche nel tramandare storie la cui grandezza rimane intatta, conservando quello spessore rischia sempre più di assottigliarsi, eroso dal passare del tempo che inevitabilmente attenta al ricordo. Lo decolora fino a farlo sbiadire, lasciando infine che i sedimenti si depositino negli angoli più remoti della memoria.

Ed è proprio per tramandare la memoria di una storia epica, seppur lontana e che vuole essere fotografia, o meglio, cartolina, da un’Italia che non c’è più che ha debuttato martedì 22 ottobre al Teatro della Cooperativa, in via Hermada 8 a Milano, lo spettacolo “Il Grande Torino, una cartolina da un paese diverso”, scritto da Gianfelice Facchetti e Marco Bonetto, interpretato da Gianfelice Facchetti e con le musiche degli Slide Pistons.

Il monologo di Facchetti, che sarà al teatro della Cooperativa fino al 31 ottobre, ha tratti delicati, che si allontanano dal rumore inutile delle iperbole. Un racconto garbato, confidenziale, intimo, di un innamorato granata che attraverso le gesta di una squadra leggendaria, fotografa a colori uno scenario in bianco e nero di una Italia ancora disunita e interrotta a causa dell’ultimo conflitto e che sta faticosamente cercando una nuova identità.

Al termine dello spettacolo abbiamo realizzato una breve intervista con Gianfelice Facchetti

Perché ha sentito ora l’esigenza di realizzare questo monologo?

Ci sono stati un sacco di momenti in cui questa storia ha intrecciato la mia vita. Solo per dirne una, io sono cresciuto a Cassano D’Adda e la maglia del Cassano Football Club, dove io giocavo, era quella del Torino. Oppure nel 2004, quando interpretai Bacigalupo nella fiction Rai Il Grande Torino. C’è sempre stato un motivo per rendere onore a questa squadra e ai suoi interpreti, questo è uno dei tanti.

Suo papà le parlava del Grande Torino?

Per mio padre quello del Torino era un mito non solo una squadra. Dopo la sua scomparsa trovai una foto di Virgilio Maroso all’interno di un libro. In realtà non è che mi parlasse molto del Grande Torino , però mi ha sempre fatto capire che quella squadra era un simbolo forte per chi ha vissuto con passione quell’epoca.

Sandro Mazzola frequentava la vostra casa?

In realtà la frequentazione era più che altro sul lavoro, sia lui che mio padre lavoravano per l’Inter di Massimo Moratti. Nel tempo libero non è che si frequentassero molto.

Penso a Bartali e al Grande Torino ed è come si fossero passati il testimone in quegli anni: con le loro gesta avevano il compito di tenere insieme un Paese che tentava faticosamente di ritrovarsi

Certo, lo dico a chiare lettere nel corso dello spettacolo. L’Italia era una nazione che doveva risollevarsi e così gli italiani si aggrapparono a Coppi, Bartali, Valentino Mazzola, il Torino… figure che restituivano al Paese orgoglio e identità.

Perché secondo lei l’epica del Toro è rimasta legata quasi esclusivamente a quella tragedia? A me viene in mente il Manchester United che ha vissuto una tragedia simile, ha poi saputo riscrivere il proprio destino

Non lo so, forse sono stati solo più fortunati. Quella del Torino è una storia segnata dal dolore. Anche successivamente quando, per esempio, perde prematuramente un grande campione come Gigi Meroni a causa di un tragico incidente (Meroni morì investito da un’auto mentre tornava a casa, dopo una partita di campionato, nda).

Quale Torino dei tempi più recenti può essere considerato non il Grande Torino, ma un Torino grande?

Quello della finale di Coppa Uefa contro l’Ajax, quello di Mondonico, Casagrande, Cravero, Martin Vasquez. I tifosi granata sanno che quella del Grande Torino è una storia irripetibile, però credo che da un certo punto in poi il Torino sia stato guidato da dirigenti che non sono stati capaci di interpretare la sua storia e la sua epica, facendola a pezzettini.

Quella del Gande Torino sta divenendo una storia troppo lontana per essere tramandata nel modo che merita? Ha il sentore che la memoria diventi sempre più labile, il ricordo un pochino più sbiadito?

Col passare degli anni inevitabilmente può nascere questo tipo di spauracchio. Oggi tutto è diverso, frastagliato, tutto si sussegue a grande velocità e anche i simboli finiscono nel tritacarne del tempo.

Perché secondo te gli operai della Fiat tifavano Juventus?

Non lo so, è ciò che si dice. E’ la squadra con più tifosi, la più vittoriosa sul territorio nazionale, però che alla Fiat fossero tutti tifosi della Juventus per me è impossibile saperlo.

Che canzone sarebbe il Grande Torino?

Se pensiamo a quell’epoca e a quello scenario Addormentarmi così, cantata da Lidia Martorana, si sposa alla perfezione, ma se pensiamo alla gloria e alla grandezza di quel Torino direi una canzone dei Led Zeppelin o comunque qualcosa di rock anni Settanta.

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Gianfelice Facchetti