giovedì, Dicembre 11, 2025
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NEET: il senso del vuoto fra scuola e lavoro

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NEET: un termine che indica giovani che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi formativi. Una definizione che, da anni, alimenta un dibattito pubblico spesso più emotivo che analitico. Le interpretazioni più comuni parlano di giovani che non hanno voglia, un sistema formativo inadatto o una presunta scarsa intraprendenza rispetto al resto d’Europa. In tutto questo, la domanda fondamentale resta senza risposta: perché i NEET continuano ad aumentare?

Dalla scuola al lavoro: cosa non funziona davvero

I dati raccolti da Dedalo, il laboratorio permanente sul fenomeno NEET promosso da Fondazione Gi Group, offrono un quadro diverso. Le cause principali non riguardano né l’efficienza del sistema scolastico né la motivazione individuale, ma tre nodi strutturali: scoraggiamento, lavoro sommerso e responsabilità famigliari.

Circa l’11 per cento dei NEET ha smesso di cercare lavoro perché convinto di non trovarlo o di non trovarne uno adeguato. Sono questi gli scoraggiati, un numero impressionante, che segnala una sfiducia radicale nelle proprie possibilità di ingresso nel mercato. Questo elemento si incastra con la scarsa efficacia delle agevolazioni pubbliche all’assunzione: molti giovani non percepiscono reali opportunità e si autoescludono.

Accanto allo scoraggiamento c’è il tema del lavoro nero, storicamente diffuso in Italia. È una forma di reddito immediato che non lascia tracce statistiche, ma sottrae energie e tempo alla costruzione di un percorso professionale stabile. Anche questo contribuisce a un ingresso tardivo o irregolare nel mercato del lavoro, che non dipende da lentezza quanto da mancanza di alternative sostenibili.

La famiglia fra sostegno e irrigidimento sociale

In un contesto di incentivi deboli e ammortizzatori sociali insufficienti, la famiglia resta l’unico vero piano d’appoggio. Ma non tutte le famiglie dispongono delle stesse risorse economiche, culturali e relazionali. Questo significa che alcuni giovani possono permettersi il tempo necessario per cercare un lavoro adeguato, mentre altri no. Se la famiglia non riesce a sostenere questa fase intermedia, la transizione scuola lavoro diventa una corsa a ostacoli da affrontare senza margine di errore. Il risultato è un forte condizionamento del destino professionale da parte del contesto di origine.

La stessa dinamica familiare diventa ancora più evidente quando si osserva la variabile del titolo di studio materno, indicatore molto forte nelle analisi Dedalo. Il tasso di NEET tra i giovani con madre di bassa scolarità raggiunge il 38,4 per cento. Scende al 7 per cento quando la madre è laureata. Tra le figlie, l’incidenza iniziale arriva al 54,2 per cento. Non si tratta solo di capitale culturale: è anche una questione di ruoli sociali.
In molte famiglie italiane le responsabilità di cura (figli, anziani o altri familiari) ricadono quasi interamente sulle donne. Di fatto, il lavoro di cura sottrae tempo e possibilità alle giovani donne che provano a entrare nel mercato del lavoro.

Lavoro: una corsa senza rete di sicurezza

Quello che emerge non è un problema di qualità dell’istruzione o di spirito di iniziativa delle nuove generazioni. La fragilità riguarda il passaggio all’età adulta. La fase che separa la fine della formazione dall’ingresso nel lavoro non è sostenuta da meccanismi pubblici efficaci: non esistono ammortizzatori economici mirati, servizi di cura diffusi, un orientamento continuo o percorsi realmente accessibili a chi parte in svantaggio. Quella finestra di tempo, naturale e fisiologica, finisce per gravare interamente sulle famiglie, che spesso non sono in grado di sostenerla.

Il risultato è che molti giovani non hanno il tempo reale per affrontare una transizione efficace verso il lavoro. La fragilità della fase di ingresso nel mercato diventa così uno dei motori principali del fenomeno NEET. Non è un problema di volontà individuale ma l’esito di un sistema che non considera la transizione scuola lavoro come una fase da supportare. E quando una società non sostiene il tempo necessario a diventare adulti, chi rimane indietro diventa un fenomeno strutturale, non un’eccezione.

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