Fare i conti con i propri demoni. Con il mostro che alberga in ogni individuo e che per fortuna, nella maggior parte dei casi, gli individui riescono a domare, sottomettere, ignorare. Non tutti, purtroppo. È forse per questo che quando intervistano i vicini o gli amici di un assassino, quest’ultimo viene sempre descritto come una persona comunissima, tranquilla, che mai avrebbe dato adito a sospetti. Ed è allora, quando il mostro, il nostro alter ego demoniaco prende il sopravvento, ci domina ed esplode in tutta la sua violenza, che probabilmente restiamo sorpresi da noi stessi al punto tale, da rimuovere dalla nostra mente quanto è accaduto. Una scelta di comodo penserebbero alcuni. Forse un corto circuito, direbbero altri. Ma qual è la verità?
Elisa, una storia vera
È ciò che si chiede Il film di Leonardo Di Costanzo “Elisa”, in programma ieri sera al Palabiennale alla Mostra del cinema di Venezia e tratto dalla storia vera di Stefania Albertani che nel 2009, all’età di ventisei anni, uccise la sorella e tentò di assassinare anche i genitori. Un’opera che parla di consapevolezza, non di mistero, di espiazione e non di perdono. Elisa Zanetti, la protagonista del film, interpretata dalla bravissima Barbara Ronchi (Gli sdraiati e Padrenostro, tra gli altri), dice di aver rimosso l’assassinio della sorella ma nel corso del suo percorso rieducativo e detentivo, l’incontro con un criminologo francese, il professor Alaoui, interpretato da Roschdy Zem, che sta compiendo uno studio sui più efferati omicidi e i loro autori, metterà Elisa davanti allo specchio della propria anima.
Elisa, non un film sulla redenzione
Non aspettatevi però un film sulla redenzione. Il pentimento è sullo sfondo, sottinteso, comparsa e non protagonista di questa storia. Il film è incentrato sulla presa di coscienza di fronte all’evidenza di essere uno spietato assassino, un mostro, come si dice in cronaca. Il Professor Alaoui spingerà Elisa a raccontare la verità prima di tutto a sé stessa, per poter fare i conti con il suo crimine imperdonabile, senza però rimanerne schiacciata per tutta la vita. Una verità che bruciava sotto la cenere dell’esistenza al confino, di cui Elisa Zanetti ha sempre ignorato il doloroso calore.
Padre coraggio
L’unico rimasto accanto ad Elisa è il padre, interpretato da Diego Ribon, un uomo che ha perso la sua famiglia e la sua azienda come conseguenza degli atti delittuosi della figlia, ma che le resta accanto in parte per non perdere ciò che resta del suo sangue, un po’ per non lasciare che Elisa smarrisca definitivamente la strada, e forse anche per penitenza, per espiare il proprio fallimento come genitore. Anche questo papà coraggioso, condannato dal tribunale della vita, sembra disegnato sui contorni di uomini resi reali dalla cronaca che li ha travolti, come ad esempio Francesco De Nardo, papà di Erika che uccise la mamma Susanna Cassini e il fratellino Gianluca, e Stefano Lorenzi, marito di Anna Maria Franzoni.
Ambientazione e accoglienza della pellicola
Molto bella l’ambientazione. L’azione si svolge in un immaginario istituto detentivo svizzero, in cui le detenute vivono in capanni, all’interno di un bosco disseminato di guardie, lavorando e studiando di giorno e provvedendo alle proprie necessità alla sera, evoca un luogo e un tempo indefinito, intimo, introspettivo, un luogo di raccoglimento quasi spirituale, che però nel corso della narrazione assume anche contorni inquietanti, quasi sinistri. Le riprese sono state realizzate in Alto Adige, Canton Ticino e Emilia Romagna.
Il pubblico del Palabiennale accoglie favorevolmente una pellicola ben diretta e interpretata, con una trama originale e della giusta durata, senza perdersi in arabeschi inutili, come tutto il contesto potrebbe indurre a fare. Non è in corsa per il Leone d’oro, ma il film merita di essere visto.