venerdì, Settembre 5, 2025
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Duse, un’accoglienza tiepida al Palabiennale

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È stata una accoglienza decisamente tiepida quella che la sala del Palabiennale, alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia 2025, ha riservato al film Duse del regista Pietro Marcello, biopic della grande attrice italiana Eleonora Duse, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi. Gli applausi sui titoli di coda sono stati circoscritti alle prime file e il tributo non è perdurato che per pochi secondi. Alcuni commenti, captati nella sala da parte del pubblico che defluiva, sono stati troppo severi e taglienti, anche se bisogna ammettere che alcune perplessità appaiono legittimamente espresse. Anche osservando le recensioni di alcuni siti specializzati, bisogna rilevare come i giudizi siano discordanti

Duse, critiche troppo severe

Il film, a nostro parere, non è affatto da disprezzare. Non è vero, come affermato da alcuni, che manchi completamente la trama: il filo conduttore non è soltanto uno ma sono ben tre: gli ultimi anni di carriera e di vita della Duse, il suo forte indebitamento e sullo sfondo, l’Italia che inesorabilmente diviene preda del fascismo, abbracciata dalle spire mortali delle camicie nere che impazzano nel nord Italia, alla fine della Prima Guerra Mondiale. 

Valeria Bruni Tedeschi (assieme a Jasmine Trinca e Micaela Ramazzotti una delle interpreti a cui frequentemente sono affidati ruoli di donne tragiche, artefici della loro stessa tragedia) è indiscutibile come il suo talento: ancora una volta l’attrice resta sé stessa pur cucendosi addosso il personaggio. Non veste il ruolo di Eleonora Duse, lei è Eleonora Duse, trasposta nella sua interpretazione personale. Troverete sempre un po’ Valeria in ogni suo personaggio.  

Duse, artista al declino: un filone che rischia di divenire cliché

Vi sono, come dicevamo all’inizio, alcune perplessità. Prima fra tutte, a nostro parere, la difficoltà riscontrata, ad entrare nella storia, a farsi rapire dalla sceneggiatura. L’inizio del film più che essere concentrato sulla protagonista, è occupato a dipingere il fondale, a segnare i contorni del contesto storico. Si vaga tra le scene per i primi minuti di pellicola senza riuscire ad agganciarsi al traino narrativo, che prenderà per mano lo spettatore. 

Quando l’improvvisa indigenza della Duse è comunicata dalla sua assistente, causata dal fallimento della banca depositaria di tutti i suoi beni, il film parte davvero. La scelta è di narrare una Eleonora Duse non ai vertici del suo splendore ma a fine vita, come di recente è accaduto anche per Maria, biopic su Maria Callas e per altre biografie cinematografiche recenti. Ed è proprio questa scelta a fare nascere nuovi dubbi: raccontare il lato b di una carriera luminosa può essere una scelta originale, ma se diventa un filone finisce per essere, come tutte le cose che si ripetono, forse un po’ scontato e uguale a sé stesso. 

La tragedia di una donna sempre sulla scena, a cui manca la scena

Eleonora è raccontata come una donna spogliata delle sue ricchezze, che torna sulle scene dopo dieci anni di inattività a causa della propria indigenza, che dà vita a personaggi e spettacoli improbabili sul palcoscenico, fidandosi ciecamente del proprio istinto e mietendo, però, solo insuccessi. La Duse di Pietro Marcello non ha nulla se non il proprio talento. Una donna tragica in tutto e per tutto: tragica nel disastroso rapporto con la figlia, tragica con i nipoti che terrorizza mentre legge loro Pinocchio, tragica nel suo amore con Gabriele D’Annunzio, tragica quando si lascia comprare da Mussolini e dai fascisti, che promettono di sanare i suoi debiti riconoscendole inoltre un vitalizio.

Infine, tragica anche nella sua malattia, la tubercolosi, che spegne la sua vita a soli sessantuno anni. La Duse, artefice e vittima stessa di questa dissolutezza della ragione, viene dipinta però esageramene dissennata, distaccata dalla realtà e dalla crudezza della storia che le accade attorno, tragica anch’essa. Per questo in alcuni passaggi l’interpretazione della Bruni Tedeschi, costretta a calcare la mano, è esageratamente teatrale, caricaturale, quasi macchiettistica.  

Eleonora Duse e l’Italia fascista, un racconto comunque istruttivo e affascinante

Il nostro giudizio finale giudizio finale è comunque positivo, sono state osannate, in passato, produzioni che presentavano molte più criticità di questa. L’Italia post Prima Guerra Mondiale, che all’inizio della pellicola è attentamente contornata come scenografia, diviene strada facendo impalcatura su cui si regge tutta la sceneggiatura: il declino di Eleonora Duse poggia le sue fondamenta sul declino di una Italia povera e arrabbiata, che si lascia irretire a suon di botte e menzogne dalle utopie fasciste.

Questo è un film che ripercorrendo la storia di un’artista di successo, ripercorre la storia di un intero Paese. Le riprese dell’epoca del funerale della Duse sono di grande effetto, proprio perché l’Italia appare in tutto e per tutto per quello che è: il parco giochi delle camicie nere, nel frattempo salite al potere. Si dice che per il Leone d’oro la partita sia tra la Grazia e Duse: non abbiamo visto il film di Sorrentino, ma stando al sentiment della critica, non dovrebbe esserci partita. 

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