Certamente Massimiliano Allegri si immaginava un altro debutto, quasi 15 anni esatti dalla prima panchina rossonera su cui si era seduto per la prima di campionato della stagione 2010/11, per l’esattezza il 29 agosto 2010. Allora il Milan ospitava il Lecce, che veniva regolato agevolmente per quattro reti a zero. Nell’intervallo di quella partita, sul red carpet faceva la sua prima apparizione da milanista Zlatan Ibrahimovic, che arringò il pubblico con la frase “Quest’anno vinciamo tutto”.
Quindici anni sono tanti, ma alla fine della partita che ha segnato il ritorno di Allegri al Meazza da padrone di casa, sembra quasi di parlare una intera era geologica. La Cremonese è stato un duro risveglio per un pubblico che così come contro il Bari, ha gremito gli spalti per una partita, nessuna ce ne voglia, di fascino relativo, almeno per quel che riguardava il popolo rossonero. Due momenti della storia del Milan completamente diversi, due istantanee di tempi tanto distanti gli uni dagli altri da non essere nemmeno confrontabili, almeno non con facilità.
Dal Milan al Milan quindici anni dopo, Max Allegri
Quello del 2010 era un Milan che veniva consegnato a un giovane tecnico di belle speranze e che viveva la coda dell’era berlusconiana, spirando gli ultimi refoli della sua grandeur che andava sempre più ingrigendosi dietro i conti che dovevano cominciare a quadrare, fino ad esaurirsi sacrificata come altre dinastie del calcio sull’altare di una economia che mutava, spingendo il gioco della palla a esagoni verso i fondi speculativi e le proprietà straniere.
Quello invece consegnato a luglio allo stesso tecnico che oggi è meno giovane, ma con un curriculum e un conto in banca molto più ricco di allora, è un Milan che è già è passato per tre diverse proprietà, e che epopea Pioli a parte, (uno scudetto, una semifinale di Champions League, competizione dove aveva stabilmente riportato la sua squadra) ha vissuto di pochissimi alti e tanti, troppi, bassi. E che dopo l’ultima stagione aveva bisogno di essere ricostruita non solo nella rosa, ma anche nello spirito, l’ingrediente più essenziale, quello spettro interiore che è ingrediente essenziale per la ricetta che fa vincente un collettivo.
Allegri, i sorrisi di inizio partita e poi la sconfitta
Mister Allegri, che a inizio partita si è seduto sorridente sulla panchina, accolto dalle ovazioni e gli osanna che il suo nome hanno scatenato nel suo nuovo, vecchio pubblico, probabilmente sapeva che non sarebbe stata una comoda goleada ma probabilmente immaginava una vittoria sofferta. L’aveva messa in conto, forse anche pronosticata. In conferenza stampa ha parlato chiaramente di vittorie sporche, quelle che le grandi squadre non ancora in condizione raccolgono, facendone tesoro inestimabile in termini di classifica, a inizio stagione. Quella si aspettava, non certo una sconfitta. Quella non era contemplata.
Invece sconfitta è stata, ed è inutile sottolineare come il lavoro del tecnico toscano si complichi fin da subito, sebbene nulla, sia chiaro, è assolutamente compromesso. È stato solo il primo atto di una recita lunga trentotto, non è il caso di drammatizzare e tracciare giudizi definitivi che definitivi non possono essere. Ma due questioni appaiono chiare a distanza di qualche giorno: che nel corso di questa settimana sarebbe stato più facile lavorare con tre punti in carniere, soprattutto su una squadra che lo scorso anno oltre alle difficoltà tecniche e tattiche, ha risentito di molti contraccolpi psicologici. E secondo, che il mercato al momento risulta essere ancora incompleto se non addirittura deficitario, e tra poco andremo ad analizzare alcune delle mosse di RedBird.
Milan, le brutture di sempre
Il Milan contro la Cremonese è parso il sequel di un film già visto. Ha dimostrato i difetti che ha messo in mostra fino allo scorso giugno, ovvero mancanza di carattere e convinzione nei propri mezzi, distrazioni difensive e soprattutto assenza di un bomber di razza che possa riportare in rotta la barca, quando sembra andare alla deriva. Ed è forse la nota più dolente di tutto il mercato: dopo aver fantasticato di Vlahovic e Hoijlund, si ripiega, come è accaduto di frequente, con diversi protagonisti, nelle stagioni passate. Delle serie: come non imparare mai la lezione. Ma sull’attacco ci torniamo dopo.
La partita di sabato ha visto un Milan discreto per i primi venti minuti del primo tempo e il quarto d’ora di inizio ripresa, dopodiché è stata soggiogato con destrezza e furbizia dall’organizzazione degli avversari. Le due reti della squadra di Nicola, a cui bisogna fare i complimenti per come ha vinto la partita, per quanto bellissime per gesti atletici, sono figlie della ormai innata distrazione dei difensori rossoneri, sorpresi vicino all’area piccola in occasione di entrambe le reti.
La difesa
La difesa a tre schierata da Allegri, è già sperimentata dai suoi predecessori la scorsa stagione, non sembra essere la risposta ai guai, almeno non con questi interpreti, che hanno già messo in mostra più volte i propri limiti. E proprio alla luce delle difficoltà difensive note, perché non si è provveduto anche a rafforzare la zona centrale della retroguardia? De Winter, ancora da verificare alla prova del campo, non può essere l’unica risposta alla necessità di compattezza difensiva.
Se si passa a parlare di laterali, se possibile, il tema è ancora più controverso. Tra lo scorso gennaio e il mercato estivo il Milan si è liberato di Calabria, Kalulu, Sottil, Terracciano, Theo Hernandez, Emerson Royal, Walker e Florenzi. Detto che più di qualcuno di questi era certamente da lasciare libero di emigrare altrove, come è possibile che in una squadra che, a quanto sembra, voglia provare a giocare con il 3-5-2 gli unici laterali acquistati siano Athekame ed Estupinian (assolutamente da verificare entrambi) oltre al ritorno del duttile Saelemaekers, grande equilibratore ma non esattamente un laterale a tutta fascia?
La panchina è corta
Un altro tema è stata la panchina corta, direi cortissima. Complici anche l’assenza di Leao e la recente cessione di Okafor, nel momento in cui Allegri ha provato a cambiare volto alla squadra armando l’artiglieria per l’assalto finale, si è girato verso la panchina e l’unico, arruolabile, che potesse effettivamente dare un contributo a recuperare il contingente svantaggio era Chukwueze, che tra l’altro è ancora nella lista dei partenti. Certo, poi è entrato anche Jashari che però non è certo un centravanti o un laterale d’attacco.
Attacco, ancora un mercato deficitario
E qui si torna al tema centrale, quello dell’attacco. Dopo l’affaire Boniface, con la grottesca situazione venutasi a creare, vedi la farsa delle visite mediche che sono state la pistola fumante di un ripensamento a priori, sembrava dovesse vestire i colori rossoneri il semisconosciuto Harder, ventenne di belle speranze ma tutto da scoprire. Tramontata anche queste ipotesi, nelle ultime ore si fanno diversi nomi, nessuno però che offra davvero delle garanzie di successo per l’attacco. Le premesse però erano ben altre: Nico jackson, Vlahovic e Hoijlund hanno popolato i sogni nelle notti di mezza estate dei tifosi rossoneri, che poi, come spesso è accaduto negli ultimi anni, Giroud a parte, dopo aver fatto la bocca allo champagne hanno dovuto bere frizzantino.
I particolare, se si pensa alla rinuncia a Hojlund, fa veramente indispettire la condotta della società: non solo il Milan ha detto picche a un attaccante che in Italia ha già giocato e fatto molto bene, con qualità indiscusse pronto a sbarcare a Milano, seppur in prestito con diritto di riscatto, ma ha anche lasciato che il danese andasse a rafforzare il già favoritissimo Napoli, primo rivale nella caccia allo scudetto. Davvero Incomprensibile.
Gimenez e Leao
C’è poi il caso Gimenez. Per la prima volta da quando è arrivato, sono piovuti dagli spalti mugugni masticati e qualche fischio stizzito al suo indirizzo. Il ragazzo vede la porta ma, al momento, in miniatura. Avverte tutta la sfiducia di cui è circondato, nello spogliatoio e anche fuori. È un finalizzatore, non è un manovratore, se non è servito a dovere è come giocare in dieci. Un po’ come si è visto sabato. Prima di bocciarlo bisognerebbe provare a giovarsi nel modo corretto delle sue qualità.
Allegri verso Lecce con più “percezione del pericolo”
Allegri certamente sapeva che c’era (e c’è) tanto da lavorare e in conferenza stampa, sabato, era visibilmente seccato ma non certo turbato o depresso dal risultato. Sa di dover andare avanti con la sua idea di calcio, senza cambiare rotta solo perché la strada si è già inclinata. È importante che nelle ultime ore di mercato arrivino almeno un difensore e un laterale oltre a un attaccante.
Dal canto suo Max a Lecce dovrà mettere in campo una squadra che sappia essere accorta, tipo Juventus dal corto muso, sappia pazientare, magari soffrire, ma capace di cogliere l’occasione giusta per portare a casa una vittoria sporca ma essenziale. Poi ci sarà la pausa per le Nazionali a seguito della quale, il 13 settembre, contro il Bologna, comincerà il campionato vero. Da quel momento in avanti il tempo per capire dove e come intervenire, tatticamente, si farà sempre più breve e le esigenze di classifica sempre più pressanti.