sabato, Agosto 2, 2025
HomeAttualitàPeg Perego: tagli, sussidi statali e nessun investimento

Peg Perego: tagli, sussidi statali e nessun investimento

- Pubblicità -

Terza puntata del dossier dedicato alle aziende in crisi. Nel nostro ideale pellegrinaggio all’interno del territorio brianzolo siamo partiti da ST Microelettronics e il sito di Agrate Brianza, passando poi per Candy con lo stabilimento di via Comolli a Brugherio, per molti anni quartier generale della azienda, e ora ci trasferiamo ad Arcore per parlare di Peg Perego, dove la multinazionale dei prodotti per la casa e per l’infanzia ha la sua casa madre. 

Colpisce pensare come ben 2 delle 3 società di cui abbiamo aperto il file, siano multinazionali nostrane le cui sedi principali sono (o erano, nel caso di Candy) sul nostro territorio. Ma se Candy a Brugherio ha già iniziato il suo processo di dismissioni della produzione e riconversione del sito, i lavoratori e le lavoratrici di Peg Perego stanno lottando per salvare il loro posto di lavoro, portando al tavolo della trattativa richieste molto precise che salvaguardino l’occupazione e rilancino l’azienda.

Purtroppo bisogna rilevare come nessun rappresentante di Peg Perego fosse presente in regione, quattro giorni fa, davanti alla IV commissione per discutere del problema. Al tavolo erano seduti Provincia di Monza e Brianza, il sindaco del comune di Arcore, i consiglieri regionali di maggioranza ed opposizione del nostro territorio e le organizzazioni sindacali con le RSU. Ma non Peg Perego, appunto. Un pessimo segnale nei confronti dei propri dipendenti. 

La storia di Peg Perego


Ripercorriamo in sintesi la linea del tempo di Peg Perego. Nel primo dopoguerra, nonostante le macerie causate dai bombardamenti siano ancora ai bordi delle strade polverose, le idee innovative di uomini e donne di grande creatività e ingegno trovano un terreno incredibilmente fertile nel nostro Paese. Negli stessi giorni in cui la famiglia Fumagalli, a Brugherio, trasforma una piccola officina metalmeccanica nel più grande produttore di lavabiancheria italiano, Giuseppe Perego da Arcore, impiegato della Falk di Sesto San Giovanni, progetta e costruisce da sé una carrozzina per il figlio Lucio, appena nato.

Quel prototipo piace così tanto alla gente che Giuseppe comincia a produrre e vendere in proprio un certo numero di carrozzine. La scelta rivoluzionaria riguarda soprattutto la scelta dei materiali: il tessuto gommato prende il posto della lamiera, dando accesso anche ai ceti meno abbienti a questo tipo di prodotti per l’infanzia che fino a quel momento erano destinati a una elite. 

Così come Google, Amazon e tutte le altre aziende della Silicon Valley sono nate nel garage di qualcuno, anche la Peg nasce nella serra dell’orto della casa di proprietà del suocero di Giuseppe Perego, Giovanni Zappa. Le leggende, soprattutto quelle che riguardano l’industria, anche a distanza di moltissimi anni cambiano nella forma ma non nella sostanza. Comunque, che lo stabilimento in poco tempo assorbirà tutta la proprietà, è un dato di fatto. Intanto, agli inizi degli anni Sessanta Peg Perego pensa alla diversificazione della produzione e con un’altra, lungimirante intuizione, decide di entrare nel mercato dei giocattoli.

L’ingresso nel business dei giocattoli


Apre un nuovo stabilimento a Lomagna, nel lecchese e acquista le presse per realizzare automobiline a pedali. Il materiale scelto però, il nylon, è costoso e difficile da lavorare e la produzione non decolla. Due anni dopo si decide di virare su una nuova materia prima, il Moplen, ideato da Giulio Natta, ingegnere della Montedison, che per questo verrà insignito anche del Premio Nobel per la chimica, nel 1963. L’adozione del Moplen è la chiave di volta. Come riferirà poi anche il terzogenito Lucio “L’idea di papà era stata giusta, aveva solo anticipato i tempi di un paio di anni. Quando arrivò il materiale adatto, i consumi decollarono”. 

Peg si espande non solo a livello nazionale ma mondiale: tra il 1960 e il 1968 aprono le sedi di Monaco in Germania, di Toronto in Canada e di Fort Wayne negli Stati Uniti. 

Gli anni Settanta sono all’insegna del cambiamento. Nel 1971 Giuseppe Perego cede il 50% dell’azienda a Credit Suisse, prendendo la rischiosissima decisione di avere un partener alla guida della società col suo stesso potere decisionale. Con quanto incassato dalla cessione di metà delle quote si getta a capofitto in 2 nuove avventure produttive: tubi in acciaio e imballaggi, ma le cose non vanno come sperato. Successivamente Perego, terminate queste due brevi esperienze industriali, ammetterà che è più opportuno concentrarsi su ciò che si sa fare, e anche bene. 

Peg Perego ai Perego


Nel 1983 il patriarca Perego decide che vuole tornare completamente in possesso della sua azienda: vende lo stabilimento di Fort Wayne e con il ricavato ricompra le quote in mano a Credit Suisse. Un’operazione estremamente costosa, perché il valore di mercato di Peg Perego è cresciuto in maniera esponenziale e in poco più di 10 anni Credit Suisse mette a bilancio una notevole plusvalenza. Ma Giuseppe, ammalatosi gravemente, vuole che l’azienda resti saldamente e definitivamente nelle mani della sua famiglia. Così prima di lasciare i dipendenti e i propri cari riacquisisce il controllo totale della società. 

Nei primi anni duemila la curva della natalità inizia la parabola discendente e il settore dei giocattoli e accessori per la prima infanzia diventa meno fertile. In pochi anni il mercato è saturo di prodotti finiti che non si riesce a vendere al ritmo fino a quel momento cadenzato dai consumatori. Negli anni successivi la concorrenza dei produttori cinesi, la pandemia e infine i dazi imposti da Trump hanno fatto il resto.

I punti di forza di un tempo, punti critici di oggi


Dal 2018 Peg Perego ricorre all’aiuto degli ammortizzatori sociali senza, come vedremo tra poco, aver preso alcun provvedimento sul piano dell’attività produttiva. Nessuna diversificazione, nessun investimento. Solo il palliativo del ricorso al sostegno economico statale. Oggi, i lavoratori e le lavoratrici di Peg Perego lavorano in media 18 ore la settimana, poco più di 2 giorni su 5. 

Ci sono due aspetti che colpiscono nel breve riassunto della storia della PEG Perego che abbiamo appena visto. I 2 punti di forza della azienda di successo che fu, avevano due nomi ben precisi: innovazione e diversificazione del business. Proprio gli aspetti che Adriana Geppert, rappresentante sindacale Fiom CGIL, sottolinea siano alla radice dell’attuale crisi, essendo stati completamente trascurati negli ultimi anni.

Caratterizzati, piuttosto, da un frequente ricorso agli ammortizzatori sociali e da scelte che appaiono comode scorciatoie prive di visione futura. Una tra tutte, quella di inserire nel proprio catalogo articoli finiti o semilavorati provenienti da produttori terzi, situati in Cina. Certo un bel taglio ai costi di produzione, ma dal punto di vista industriale è una strada senza uscita, priva di qualunque prospettiva. 

Geppert, Fiom CGIL “Ammortizzatori sociali e nessun piano industriale”


Abbiamo raggiunto telefonicamente Adriana Geppert, che ci ha dato un quadro generale della situazione attuale:

L’ azienda ha sempre utilizzato gli ammortizzatori sociali a compensazione delle minori ore lavorate, ma quello che noi come lavoratori e come rappresentanze sindacali stiamo chiedendo da molti anni è diversificare il business, virando su target differenti. Ad esempio, si potrebbe pensare a una produzione di prodotti sanitari per anziani, oppure prodotti per il mercato degli animali domestici, quest’ultimo in forte espansione. Vorremmo, inoltre, che si sperimentassero percorsi di innovazione, sia sul prodotto che sui materiali, per esempio volgendo le attenzioni su materiale riciclabile entrando in un’ ottica di economia circolare“. 

Continua Geppert “L’azienda non ha fatto nulla di tutto questo e ora siamo alla resa dei conti. Questo immobilismo ha favorito il consolidamento del trend economico negativo. Quest’anno la situazione è ulteriormente peggiorata perché l’entrata in vigore dei dazi commerciali voluti dal presidente americano Trump ha fatto in modo che le aziende concorrenti della Cina riversassero i loro prodotti, in massa, sul mercato europeo“. 

Su 244 dipendenti rimasti sul sito Arcore a breve Peg Perego aprirà una procedura di licenziamento collettivo per 95 di loro: 70 relativi alla produzione diretta e indiretta e gli altri delle attività gestionali e d’ufficio.  Contrariamente a quanto si è detto e scritto altrove, Peg Perego non sta delocalizzando in estremo oriente la propria produzione, ma forse ancor più grave, compra prodotti finiti o semilavorati direttamente dai concorrenti asiatici. Prodotti che poi immette nel proprio catalogo. 

Peg Perego 4

L’incontro in Regione Lombardia senza i vertici dell’azienda


A proposito dell’incontro tenutosi in Regione Lombardia giovedì 17 luglio, la Fiom ha illustrato con un comunicato quali siano stati i punti discussi in quella sede e ha denunciato, come abbiamo già scritto all’inizio, la grave e ingiustificabile assenza dei vertici aziendali di Peg Perego. 

Nel corso dell’audizione le Organizzazioni Sindacali hanno illustrato la grave situazione aziendale e l’apertura della procedura di licenziamento per 95 dipendenti su 244 occupati. Le Organizzazioni Sindacali hanno chiesto a Regione Lombardia e alle forze politiche di intervenire nei confronti di Peg Perego per la definizione di un piano industriale finalizzato ad un rafforzamento strategico del sito di Arcore, anche attraverso investimenti pubblici a supporto del Made in Italy per l’innovazione di processo e di prodotto, da svilupparsi nel sito a tutela dei livelli occupazionali”.

Prosegue il comunicato “Le Organizzazioni Sindacali hanno denunciato inoltre l’atteggiamento irresponsabile dell’azienda che subordina la possibilità di utilizzo di ulteriori sei mesi di cassa integrazione al vincolo della preadesione ai licenziamenti da parte delle lavoratrici e dei lavoratori (ovvero: alti 6 mesi di cassa integrazione se poi i lavoratori e le lavoratrici firmano le dimissioni volontarie, fino a un numero di 95 unità, come stabilito dal piano aziendale) invece di utilizzare l’ammortizzatore sociale ancora disponibile per i processi di riqualificazione e transizione industriale. Questo non è accettabile da chi da 8 anni utilizza ammortizzatori sociali senza impegnarsi in un serio progetto industriale”. 

Il tavolo si trasferisce a Roma, al MIMIT, il prossimo 24 luglio


A proposito di politica, abbiamo provato a parlare col sindaco di Arcore, Maurizio Bono, scrivendo prima ai suoi uffici e poi inviando un messaggio whatsapp al suo numero di telefono: entrambi i nostri tentativi sono rimasti privi di riscontro. Le uniche parole del primo cittadino che possiamo riportare sono quelle estrapolate dal sito monzatoday.it in cui Bono, al cospetto dei dipendenti Peg Perego venuti a esprimere il loro dissenso davanti al municipio “Occorre un piano industriale altrimenti parliamo solo di un suicidio accompagnato. Occorre far comprendere all’azienda che la produzione merita di essere salvata e che per farlo ci vuole un impegno concreto e costante”. 

Giovedì 24 luglio il tavolo di confronto di sposterà a Roma, al Ministero delle imprese e del made in Italy. Vi terremo aggiornati sugli sviluppi di questo cruciale incontro, che potrebbe delineare il futuro dei dipendenti di una multinazionale italiana attualmente in ginocchio e probabilmente, quello di una buona porzione di territorio brianzolo. 

TI POTREBBERO INTERESSARE...
- Pubblicità -
- Advertisment -

I più letti

- Advertisment -