domenica, Agosto 3, 2025
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Dario Fo, Franca Rame e il pianto per Allende

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Riverberi di dolori e rivoluzione, di rabbia e consapevolezza. Ci sono date che appartengono alla tua giovinezza, alla tua rabbia, alla tua ribellione. In questi giorni di estate ai primi vagiti, mi avvolge, nitido, un ricordo. Di molti anni fa. A Torino. Pochi giorni dopo il vile golpe in Cile: la nobile morte del presidente socialista Salvador Allende, democraticamente eletto dal popolo e per questo inviso agli Stati Uniti, e il sogno frantumato di Unidad Popular. Undici settembre 1973.  

Allende e il Cile al Palasport di Torino 


Cominciava il buio,  il terrore firmato da Augusto Pinochet e dagli altri assassini in divisa. Il movimento studentesco e quello operaio organizzarono, pochi giorni dopo il bombardamento del Palazzo presidenziale della Moneda, un incontro – di vicinanza e di solidarietà – al Palasport torinese di Parco Ruffini. Fu una notte indimenticabile. Avevo diciassette anni. Cantarono gli Inti-Illimani, per loro fortuna in tournée in Italia. “El pueblo unido jamás será vencido”. Non poteva mancare il nostro inno: “Contessa” di Paolo Pietrangeli e poi arrivarono loro: Dario Fo e Franca Rame.  

Ricostruirono gli ultimi istanti di vita di una coppia di giovani cileni, di sinistra, che da una radio clandestina, del colpo di stato, e di scappare, subito, il più in fretta possibile: perché i militari stavano uccidendo e catturando. E mentre parlavano, i carabineros, con gli anfibi pesanti e l’odio tra i denti, salivano quelle scale. Per prenderli, quella ragazza e quel ragazzo, e farli tacere, tacere per sempre. Ma loro, figli dell’utopia e della speranza di un mondo nuovo, continuavano a parlare, anche se sentivano quei passi e con quei passi il loro tragico, omerico destino.  

Il silenzio di Santiago in una sera di settembre 


Compagni scap…” 
Silenzio. Silenzio. Dario e Franca restarono in silenzio. Capimmo. E anche noi restammo in silenzio.  

Fo e Rame avevano reso quei minuti da farli sembrare veri. E noi eravamo là, a Santiago. Eravamo quei giovani. Che salutammo con le lacrime agli occhi e il pugno alzato. 
Grazie Dario e grazie Franca per quella notte, per aver aiutato la mia generazione a crescere, a capire e non dimenticare. Ogni 11 settembre sento ancora nitida la vostra voce. E quella di Luis Sepúlveda e di Víctor Jara, di Pablo Neruda e dei desaparecidos. Il rantolo di Pinochet resterà invece soltanto fango e miseria. Un insulto della Storia. Dell’Umanità. Della Ragione. 

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