domenica, Agosto 3, 2025
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Carcere di Monza: il sovraffolamento ha superato il 50% 

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La fotografia scattata negli ultimi giorni parla chiaro: il carcere di Monza è allo stremo. 

Troppi detenuti, troppo pochi agenti, un sistema che fatica a reggere. Numeri alla mano, lo ha ribadito anche la direttrice Cosima Buccoliero: “Siamo in ginocchio”. Il sovraffollamento ha superato il 50% e la complessità delle situazioni personali continua a crescere, specie dopo il Covid.

Ma al di là delle cifre, dietro le sbarre ci sono storie, volti, vite che cercano di resistere. A raccontarlo è Stefano Del Corno, presidente dell’associazione Carcere Aperto, che da anni vive in prima linea il sistema penitenziario monzese. Conosce nomi, bisogni e silenzi di chi, dentro quelle mura, prova a ricominciare.

Sovraffollamento e isolamento


“Il sovraffollamento non è una novità – spiega Del Corno – è una condizione strutturale in quasi tutti gli istituti italiani. Anche San Vittore è messo così. Nel carcere di Monza le stanze detentive sono spesso occupate da più persone, e d’estate la situazione peggiora: finiscono le attività scolastiche, i corsi si interrompono, il caldo si fa insopportabile”.

A pesare non è solo il numero, ma la qualità della vita. Le celle sono affollate, i bisogni crescono e la dignità rischia di perdersi nei dettagli: un pasto caldo, un cambio di vestiti, un libro. “Ogni mese riusciamo a dare un piccolo contributo – racconta – beni di prima necessità, ascolto. Non è carità, è presenza”.

Un carcere sempre più giovane e fragile


Uno dei dati più preoccupanti riguarda l’età media dei detenuti e la loro fragilità psichica. Dopo il Covid, il carcere ha visto un’impennata di ingressi tra i più giovani. “Il carcere anticipa ciò che succede nella società – sottolinea Del Corno – e oggi vediamo sempre più ragazzi con storie di disagio mentale e dipendenze. È la nuova emergenza”.

Oltre 250 detenuti con diagnosi psichiatrica e circa 500 presi in carico per problemi di tossicodipendenza. Numeri che raccontano più di qualsiasi statistica: un sistema che non riesce più a

contenere, né a curare.

Il valore del tempo e della relazione nel carcere di Monza


Eppure, nonostante tutto, qualcosa si muove. Le attività educative e sociali restano uno dei pochi argini contro il degrado. “Abbiamo attivato corsi di teatro, percorsi di giustizia riparativa, una rivista scritta dai detenuti, uno sportello anagrafe per il rilascio delle carte d’identità elettroniche. Ma serve di più”.

Il cuore dell’attività di Carcere Aperto resta però l’incontro. “Facciamo visite in sezione, ci sediamo ad ascoltare. È lì che si costruisce fiducia. C’è chi legge il giornale con un volontario, chi partecipa alla ‘biblioteca vivente’. Piccoli gesti, ma fondamentali. Perché è solo nella relazione che si recupera dignità”.

Il carcere di Monza si racconta anche fuori


L’associazione lavora anche sul territorio, soprattutto nelle scuole. “Raccontiamo la Costituzione partendo dal carcere, facciamo formazione, cerchiamo di far capire che chi è dentro non è ‘altro’ da noi. I ragazzi rispondono, fanno domande, si appassionano. Questo ci dà speranza”.

C’è poi un lavoro costante, ma invisibile, fatto con volontari e operatori. “Trovarsi, confrontarsi, parlare dei problemi insieme: è questo che ci permette di non crollare. Perché il carcere, se vissuto da solo, ti schiaccia”.

Il carcere di Monza è un microcosmo che riflette le fragilità del nostro tempo. Un luogo che oggi rischia di esplodere, ma dove ogni giorno c’è chi prova a rimettere insieme i pezzi. “La verità e la collaborazione – conclude Stefano Del Corno – sono ciò che funziona meglio dentro al carcere. Non servono eroi, servono persone che non abbiano paura di ascoltare”.

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